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In copertina e all’interno illustrazioni di Maria Luisa Massa
Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono immaginari. Qualsiasi rassomiglianza o riferimento con persone, cose, fatti o località realmente esistenti o esistiti, è puramente casuale.
Prefazione
Il libro di Mauro Massa, dal provocatorio titolo “Mister Merdadent”, mette in risalto, grazie ad una satira feroce, sempre giocata tra il serio ed il faceto, le contraddizioni dell’odierna società e le falsificazioni che possono essere propinate da parte di una cultura massificante.
In un mondo ai limiti della follia e del “pensiero unico” ci si ritrova in una situazione nella quale la politica è ormai in mano al Movimento per la Democrazia Diretta con il popolo che esprime il voto tramite internet ed i sondaggi sono all’ordine del giorno: che siano veritieri o fasulli poco importa perché ciò che conta veramente è dare in pasto alla massa ciò che si “vuole” vendere, creando artificiali bisogni, fino al limite estremo di rendere tutti rincoglioniti e far comprare “denti fatti con escrementi”.
Paradossalmente la società non è migliorata affatto, anzi, molte persone vivono in baraccopoli; è difficile trovare lavoro e la crisi imperante riduce in miseria molte persone, ma tutti hanno fiducia nel Governo Popolare Democratico, presieduto dal Presidente Ciaramitaro, che viene osannato dal suo portavoce, neanche a dirlo, il mago Roger: grazie ad una sorta di lavaggio del cervello virtuale, tutto ciò che comunica il Movimento è giusto e non sono ammesse repliche, critiche né diverse opinioni che vengono manipolate grazie a giganteschi teleschermi installati nelle zone più frequentate delle città.
In questo mondo dove regna l’assolutismo ideologico, entra in scena il giovane Martino Lissa, il protagonista dell’intera vicenda: figlio di un ex esponente del Movimento che è stato esiliato perché ritenuto un soggetto sovversivo. La vicenda ha creato enormi problemi alla madre di Martino che ha cercato di tirare avanti nonostante il fatto sia denigrata da tutti.
Martino Lissa, fin da piccolo, sogna di fare l’attore e ama una ragazza che si chiama Tatiana. Il lato sorprendente che sconvolge la sua vita è che, da qualche tempo, ha un sogno ricorrente nel quale viene perseguitato da un uomo vestito completamente di bianco: scoprirà in seguito che quest’uomo si chiama Mister White, istrionico personaggio e famoso protagonista di uno spot pubblicitario che reclamizza un dentifricio.
Dopo un continuo susseguirsi di vicende surreali, personaggi immaginari e stravaganti, strani pensieri e visioni fantasmagoriche, ecco che, quasi catapultato in un sogno, forse, un delirio, si ritrova a ProductLand, una città costruita come un set cinematografico: proprio in questo luogo dove tutto è artificiale e plastificato, scoprirà un nuovo mondo dove l’unico scopo è vendere i prodotti che vengono pubblicizzati con incessante avidità per i “consumer”.
Inutile dire che gli verrà offerta la possibilità di fare uno spot per pubblicizzare “denti fatti con escrementi”: la trovata pubblicitaria risulterà vincente e Mister Merdadent diventerà famoso.
La sua avventura, tra realtà e finzione, seguirà percorsi imprevedibili con colpi di scena impensabili.
La storia, che può risultare paradossale ed impossibile, trova invece, a dispetto di ogni ragione, forte riscontro in una società che, nel suo divenire, potrà ridursi a tale condizione di follia: non è forse già allucinante che alcune pubblicità riescano a vendere prodotti praticamente inutili a costi spaventosi?
Il buon Martino Lissa, alias Mister Merdadent, si renderà conto che tutto ciò che è accaduto non è stato affatto un sogno né un delirio e, alla fine, deciderà di salvare i consumatori dal grande inganno.
La situazione diventerà ancora più difficile in una miscela di allucinanti risvolti e una sorta di alternanza narrativa tra reale ed onirico che condurrà ad un’amara unica verità: “il sistema ti fa credere di essere importante ma la fine è nello smaltitore”, in sintesi, non vali niente perché sei solo merce.
Il colpo di scena finale farà capire che il grande inganno esiste veramente e dimostrerà che la legge di mercato è “l’unica legge inviolabile seppur mai scritta dall’uomo”.
Mauro Massa riesce a raccontare una storia paradossale che porta in superficie le antinomie della società e, grazie ad una narrazione che rasenta i limiti del psichedelico, seziona con il suo bisturi narrativo i diabolici meccanismi del mercato e della pubblicità che tendono ad una massificazione pericolosa oltre a modificare i comportamenti della nostra vita.
Tra l’irreale ed il profetico, si snoda l’intera vicenda del protagonista creando una sorta di viaggio lisergico con un finale che sorprende e catapulta in una pericolosa e tragica realtà futura.
Massimo Barile
Mister Merdadent
Capitolo 1
Il signore in giacca e cravatta lo stava osservando con un sorriso particolarmente sfacciato.
«Tutto bene amico? Mi sembri un pochino sconvolto, stai tranquillo.
Non rispondi eh? Forse sei stato appena prodotto. Capisci cosa dico? Non guardarmi così strano, non devi avere paura di me. T’insegnerò io, ti porterò al sicuro, non preoccuparti. È capitato anche a me all’inizio. Certo, non mi sono ritrovato sbattuto in una strada come te, ma la sensazione è la stessa, te l’assicuro. Su, dammi la mano…»
Martino Lissa si trovava nuovamente in mezzo ad una lunga e interminabile strada asfaltata. Davanti a sé ancora quell’uomo che gli parlava in modo strano.
“Che cazzo vuole?”
Il signore dal sorriso beffardo era vestito come un uomo d’affari. Una giacca nera che sormontava una camicia bianca ben stirata, dalla quale poi scendeva una cravatta rossa a righe bianche, fermandosi, penzolante, poco prima che cominciassero i calzoni scuri.
“Chi sei?”
Intendeva chiederglielo ma non ci riusciva. Sentiva i muscoli labiali come intorpiditi e la mascella paralizzata. Anche le altre volte gli era capitata la stessa identica deficienza.
Cercò di seguire il suo consiglio e gli tese la mano. Fu l’ennesimo fallimento.
Aveva aperto inspiegabilmente gli occhi e adesso vedeva davanti a sé l’oscurità. Cominciò a riconoscere le sagome corrispondenti agli oggetti della sua camera. Nessuna strada asfaltata, nessun uomo in giacca e cravatta. Del resto non si trattava nemmeno di una sorpresa, ormai si era abituato.
Scorse poi i tenui raggi di sole che filtravano dai buchi della serranda e venne fatto sobbalzare dallo squillo improvviso della sveglia che segnava le 07.00 in punto.
«Il nuovo porta-voce del Presidente Popolar Democratico sarà il campione di formula uno, Marco Lovinati, balzato in testa alla classifica di gradimento popolare, e perciò voluto dal Presidente in carica per comunicare l’operato del governo al resto della popolazione. Marco Lovinati è diventato il personaggio dell’anno grazie alla sua magnifica vittoria nel campionato mondiale e si è detto molto entusiasta di cominciare la sua avventura nella nuova Repubblica a Democrazia Diretta. In ogni caso, non smetterà di gareggiare, e quando sarà impegnato nei gran premi verrà prontamente sostituito da Dora, la nota ereditiera che fino a ieri aveva il ruolo di porta-voce ufficiale e che è stata scavalcata nella classifica di gradimento dallo stesso pilota.
E passiamo ora allo sport…»
Il notiziario della radio-sveglia avrebbe certamente continuato se non fosse stato bloccato di colpo dalla mano sudata del povero ragazzo tornato traumaticamente alla realtà.
Quel sogno lo tormentava da alcune settimane e si concludeva costantemente allo stesso modo. Riusciva sempre a sfiorare le dita del signore che lo invitava ad alzarsi, ma poco prima di trovare un contatto con quell’individuo, avvertiva il sopraggiungere di una forte emozione, spesso angosciante, come se quell’uomo fosse un essere sovrannaturale, in qualche modo diverso da lui, da tutti, dal genere umano.
“Non è normale trovare la stessa persona in un sogno per così tante notti di seguito.”
“Inoltre è uno sconosciuto, io non l’ho mai visto. Non capisco.”
“Forse lo incontrerò in futuro, magari è un segno.”
“Un segno di cosa però? E poi perché mi risveglio sempre alla stessa ora?”
Queste domande se le ripeteva grosso modo ogni giorno, a partire dalla seconda notte che vide replicare questa strana sequenza d’immagini oniriche. Erano domande lecite quelle di Tino, chiunque se le sarebbe poste, e costituivano la lucida analisi di un fenomeno di per sé inspiegabile.
Puntualmente questi pensieri erano poi interrotti dalla voce tuonante della madre che gli ricordava di alzarsi dal letto perché «la scuola e i professori di certo non aspettano te!». Anche quella mattina si ripeté questo rituale quotidiano.
«Sei ancora a letto? Guarda che la colazione è pronta e tua sorella è in piedi da venti minuti, bell’esempio che le dai! E meno male che si è messa in testa le parole dello zio che ad alzarsi per primi sono sempre i più furbi, se no avrebbe già preso esempio da te! Su, alzati, prima che anche tua sorella si accorga che lo zio le ha detto solo un mucchio di cazzate!»
Dopo essersi alzato e lavato, Tino si sedette a fare colazione vicino alla sorella, una vispa bambina di dieci anni che guardava la televisione con la brioche inchiodata sulla bocca.
Uno spot pubblicitario interruppe il cartone animato seguito con tanta attenzione dalla bambina.
Ora, una tartaruga dotata di scarpe sportive sfidava altri animali a correre, e vinceva grazie alle sue scarpette.
«Che fine ha fatto Ed il castoro?», domandò Tino con un’espressione allarmata.
«Non c’è più, l’hanno sostituito con la tartaruga Lilly», rispose Laura Lissa smuovendo per la prima volta la brioche dai denti e continuando a masticare in maniera fastidiosa. Contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati, Tino Lissa non si curò affatto di rimproverare il modo disgustoso con cui la sorella parlava e mangiava allo stesso tempo. La notizia del ritiro dalle scene di Ed il castoro lo aveva mortificato in modo sensibile. Avevano fatto fuori uno dei suoi idoli, un personaggio che aveva marchiato la sua immagine nelle scarpe di numerosi bambini per almeno un decennio. Chiese ancora alla sorella come fosse stato possibile un accantonamento di tal genere.
«Hanno fatto un sondaggio fra i bambini qualche mese fa e ci hanno chiesto se Ed ci piaceva ancora.», farfugliò Laura.
«E tu che hai risposto?», fece il fratello quasi con tono minaccioso.
«Io ho detto che era mitico e inimitabile, ma molti altri bambini si sono stufati.»
«E hanno votato per quella specie di tartaruga? Avete proprio dei gusti incomprensibili voi marmocchietti d’oggi. Come hanno potuto togliere Ed? Sembra impossibile, è da anni che pubblicizza le scarpe LUDOS. Lui c’era fin da quando io ero piccolo… Ma guarda quello sgorbio di tartaruga, non sa nemmeno usare le scarpe, che pubblicità stupida!»
«Ehi, il ghepardo e la pantera non si vedono nemmeno, li ho seminati ragazzi! Con le scarpe LUDOS sono l’animale più veloce del mondo!», annunciò estasiata la tartaruga Lilly dallo schermo televisivo, dopo aver vinto la gara di velocità con gli altri animali. Una voce fuori campo subito dopo aggiunse:
«LUDOS LILLY, anche le tartarughe sfrecciano veloci!»
Nel finale dello spot, la tartaruga Lilly ricomparve per oscurare la telecamera con la suola della scarpa, facendo così intravedere il marchio LUDOS.
«Che scemenza», gli fece eco Tino esprimendo il suo giudizio definitivo.
«Sì, è proprio brutta», scandì finalmente con voce normale e squillante la sorella, «hanno cambiato anche il marchio nelle scarpe.»
«Era molto meglio il marchio del castoro. Per quelli della mia generazione sarà un dramma non rivederlo più.»
Tino continuò sconsolato a scuotere la testa davanti alla televisione.
«Adesso mi toccherà prendere le scarpe nuove con la tartaruga», annunciò spavaldamente Laura, ma con tono quasi rattristato per prevenire un’eventuale occhiataccia del fratello.
«Che hai detto? Non se ne parla nemmeno, cara mia, le LUDOS col castoro Ed sono ancora buone e ti tieni quelle!», sbottò improvvisamente la signora Lissa che era apparsa in maniera quasi improvvisa nel bel mezzo della conversazione e che si era messa a sparecchiare il tavolo.
«Ma mamma, mi prenderanno in giro! Gli altri amici si sono già presi le LUDOS LILLY!», piagnucolò la bambina incrociando le braccia.
«Non me ne importa nulla. Che è, non ti sai difendere dalle prese in giro? Che razza di amici hai?»
«Hanno votato quasi tutti per la sostituzione di Ed nel sondaggio, che ci posso fare io?»
«E tu devi fare la pecora come loro? Se ti piace Ed devi lottare per lui. Io non ne ho soldi per comprarti quelle scarpe, e comunque non sono importanti», il tono della signora Lissa si fece piuttosto aspro e solenne. Tuttavia, Laura sembrò non arrendersi.
«Mammina, ma come faccio?»
«Mamma, Laura ha ragione, vuoi che la prendano in giro a vita? Ormai quelle scarpe son passate di moda», aggiunse Tino in difesa della sorella.
«Tu stai zitto guarda! Hai diciannove anni e ancora non ti fai rispettare! Vuoi che tua sorella diventi come te? Non sembrate neanche miei figli», borbottò categorica la signora Lissa.
«Mamma, però…»
«Basta Laura! Non voglio più sentire parlare della tartaruga Lilly! Il pullman sta per passare, datevi una mossa!»
«Io sono già pronta», sottolineò orgogliosamente Laura con qualche residua speranza di far breccia ancora nel cuore della madre, e magari anche nel suo portafoglio.
Tino si scolò il resto del latte rimasto nella tazzina e, senza dire una parola, agguantò lo zaino e si mise addosso la giacca in pelle usurata. Dopo di che, prese per mano la sorella e uscì di casa.
Capitolo 2
Tino scese dal pullman, e una volta a terra si voltò a salutare la sorella, che sarebbe scesa invece qualche fermata più avanti. Entrambi studiavano in città, e ogni giorno dovevano intraprendere un viaggio in pullman di circa venti minuti.
Il paesino in cui vivevano contava un migliaio di anime, e le scuole, comprese quelle elementari, avevano chiuso i battenti da un pezzo a causa dello scarso numero di alunni.
Martino Lissa frequentava l’ultimo anno della scuola tecnica statale, ma «avrebbe potuto avere di meglio se il padre prima, e la madre poi, non si fossero rimbecilliti», ripetevano costantemente, fra di loro, le donne del vicinato che spesso lo incrociavano per via.
«Come si è ridotta male quella famiglia. Da gente rispettabile e ammirata, hanno fatto la fine dei poveracci!»
Da quando, circa nove anni prima, il nuovo governo a democrazia diretta prese le redini del Paese, si decise, con l’approvazione del sondaggio popolare, che i figli appartenenti a famiglie disagiate con reddito insufficiente a sostenere gli studi, avrebbero frequentato la scuola tecnica statale orientata alla formazione di una professione.
Il resto degli studenti – quei pochi fortunati – sarebbe stato inserito invece nelle più prestigiose scuole private, costruendosi in tal modo un florido futuro che avrebbe potuto offrire loro l’occasione di aspirare ad un incarico nelle alte classi dirigenti.
Certamente l’istruzione era garantita ragionevolmente a tutti, poiché era “un diritto inalienabile”, e venne assicurata la massima equità fra “scuola dei poveri” e “scuola dei ricchi” – così in molti si erano azzardati a distinguerle. – Eppure non era mai capitato, o comunque, non si era mai sentito dire che un individuo diplomatosi in una scuola tecnica statale fosse riuscito ad entrare nelle alte cariche dello stato, o che avesse fatto carriera nei piani medio-alti sella società.
Anche le Università erano aperte a tutti, ma erano ormai passati quei tempi in cui si sprecavano i fondi per aiutare le persone impossibilitate a pagare le tasse accademiche.
I “privilegi” erano stati eliminati, e ognuno si sarebbe dovuto guadagnare l’Università rimboccandosi le maniche. Era “una questione di orgoglio”, ripeteva spesso l’ex porta-voce del Presidente Popolar-Democratico.
C’era quindi chi cercava “in maniera ammirevole”, ripeteva ancora il porta-voce di quegli anni, di guadagnarsi degnamente i più alti studi lavorando part-time.
Era questo il cittadino modello da cui tutti dovevano prendere esempio, e si era fatto perfino uno spot pubblicitario che invogliava i diplomati delle scuole tecniche statali a pagarsi gli studi lavorando.
Non era certo un’impresa facile, e la gran parte delle persone che tentava questa strada era spesso costretta a lasciare gli studi perché non era in grado di conciliare i due ambiti, o perché magari la retribuzione del lavoro era insufficiente a rimpinguare le casse universitarie. Non mancavano inoltre i licenziamenti. Tutto ciò costituiva chiaramente un fallimento agli occhi degli altri, ma anche agli occhi dei diretti interessati. Non era questo che ci si aspettava da loro. Grande elogio veniva invece riposto verso quei pochi che riuscivano a centrare l’arduo traguardo della laurea.
Gli studenti-lavoratori che si laureavano, avevano poi il diritto di partecipare al ricevimento annuale dei “laureati lavorati”, questo il termine coniato agli albori della democrazia diretta dai padri fondatori del governo popolare.
Durante questo ricevimento, i neolaureati che si erano aggiudicati la laurea pagandosi gli studi “con il sudore”, venivano premiati con una fascia tricolore, una medaglia con scritto il proprio nome e avevano la possibilità di stringere la mano al Presidente Popolar Democratico, con tanto di foto. Dopo di che, si dava luogo a un gran banchetto in cui ognuno vedeva finalmente riconosciuti i propri sforzi e sacrifici.
Non era raro trovare qualcuno ubriaco. Lo stesso Presidente venne beccato almeno due volte in atteggiamenti poco consoni a una persona lucida.
Alcuni di questi neolaureati avevano partecipato alla realizzazione di uno spot pubblicitario sui “laureati lavorati”, e con dei radianti sorrisi raccontavano la loro storia e dimostravano come fosse possibile raggiungere un simile obiettivo.
Finito il ricevimento, di queste persone non si veniva a sapere più niente.
C’era chi si godeva il momento e finiva poi per renderlo un evento eterno, restando disoccupato a vita, finché lo stipendio dei genitori potesse permetterglielo. Erano tempi duri, non si trovava un lavoro facilmente, la crisi imperversava da qualche decennio, e ancora non si era placata del tutto, nonostante alcuni segnali di ripresa.
Molti altri tentavano il grande salto partecipando a concorsi per ricoprire importanti ruoli pubblici e privati, ma non erano mai loro a spuntarla, e dovevano così riparare in lavori saltuari all’interno di piccole aziende in perenne bancarotta, o cercando di pubblicizzare dei prodotti porta a porta o via telefono. C’era perfino chi tentava di costruirsi una nuova esistenza nel settore della ristorazione, dove camerieri e pizzaioli erano sempre ben richiesti, mentre altri davano vita ad improbabili imprese e cooperative di effimera esistenza. Non era raro vedere dei “laureati lavorati” chiedere l’elemosina in giro o frugare nei cassonetti dell’immondizia. Ma tutti sapevano che sarebbe stata una situazione temporanea.
Si poteva dire che il problema nemmeno esisteva, tant’è che la stessa televisione non ne parlava. Erano piccolezze, dettagli, colpa degli stessi individui, ridottisi in quel modo per mancanza d’intraprendenza. Quella stessa intraprendenza che un tempo aveva invece illuminato il loro percorso universitario e che, poco a poco, sembrava essersi adesso spenta.
In tanti rimanevano però dell’idea che un giorno o l’altro ce l’avrebbero fatta, perché il nuovo governo non precludeva le porte a nessuno, e questo forte ottimismo era ben illustrato dalle alte percentuali riportate nei sondaggi.
Qualcuno, soprattutto se donna e di bella presenza, aveva invece la possibilità di sfruttare l’occasione del ricevimento e di far breccia sul Presidente o su qualcuno dei suoi ministri.
Si era già sentito di neolaureate provenienti dalle scuole per poveri, essere riuscite ad ottenere qualche buon lavoro, addirittura nel mondo dello spettacolo, grazie alla loro «operosità» nel corso del ricevimento.
Giulia Galli, per esempio, era una di queste. Venne trovata intenta a solleticare la zona ascellare di un ministro avvinazzato, il quale, colpito dalla splendida arte che la neolaureata esprimeva nel muovere le dita, decise di valorizzarne il talento. Il ministro fissò quindi un appuntamento privato per verificare al meglio le doti manuali della Dottoressa Galli.
Subito, il porta-voce di allora, il mago Roger, precisò che il ministro si riferiva ai «massaggi di cui i suoi poveri piedi necessitano per placare il dolore delle bolle che lo tormentano da anni», smentendo prontamente quei maliziosi che, chissà per quale motivo, avevano messo in dubbio l’indiscutibile saldezza morale del proprio governante, eletto direttamente dal popolo sovrano.
Il massaggio ai piedi fu talmente gradito al ministro che venne data l’opportunità a Giulia Galli di presentare una televendita sulle pentole da cucina, in onda sulla televisione nazionale alle 03.00 della notte. Numerose neolaureate la presero come un vero e proprio modello, e durante la preparazione della tesi finale cercavano di allenare le proprie dita, facendo il solletico o massaggiando i piedi a parenti, fidanzati, amici e amiche.
Tutti quanti si offrivano come “cavie”, con la vaga speranza che al ricevimento ci sarebbe stata una nuova Giulia Galli.
Le successive ragazze che fino a quel momento avevano tentato di ripetere le gesta della nota televenditrice, ottennero il famoso appuntamento con il Ministro, ma non ebbero lo stesso risultato. I maligni avrebbero detto che non erano altrettanto belle come Giulia. Ma «chi ha un po’ di sale in zucca, ben capisce che si tratta di una effettiva mancanza di talento. Provare per credere», dichiarò il mago Roger.
Prima d’imboccare la via della scuola, Tino si soffermò ad osservare lo spot proveniente dallo schermo gigante posto su un grosso cornicione.
In quel momento si stavano pubblicizzando i jeans RIDERS, e una donna in reggiseno e perizoma si aggrappava alle gambe di un baldo giovane dai capelli biondi che portava i jeans.
La ragazza offriva sguardi seducenti alla telecamera, che stimolavano l’attenzione dello spettatore, in questo caso Tino, deciso a guardare fino in fondo tutta la scena della pubblicità, nonostante la conoscesse già a memoria. La ragazza era una squisita modella che aveva da poco posato per un calendario, e Tino non vedeva l’ora di poterselo comprare.
Si trattava di una venere dai coinvolgenti occhi azzurri e dai capelli lunghi, lisci, color nero corvino. Cominciò a strusciare le proprie guance sui jeans del biondo e, senza staccare gli occhi dalla telecamera, sfoderò la sua favolosa lingua per metterla al servizio di quei pantaloni, dando luogo a una serie di pennellate provocanti che si stendevano dal basso verso l’alto, inumidendo quella stoffa ruvida. Era un chiaro segnale erotico per lo spettatore.
La donna in questione continuava il rituale “linguistico” fino a spingersi nella zona inguinale del giovane, dove cominciava lo strappo classico dei jeans RIDERS.
Giunta qui, azzardava un morso improvviso sulla gamba del ragazzo, che così si accasciava dolorante a terra. Mentre costui si tormentava, i jeans venivano prelevati dall’astuta donzella, che poi li indossava al posto del biondino in lacrime.
Da quando venne istituito il nuovo governo a democrazia diretta, si decise, tramite sondaggio popolare, di predisporre una serie di grossi teleschermi pubblici nelle vie più importanti delle città, ma non vennero tralasciati nemmeno i piccoli paesi, ai quali venne garantito almeno un teleschermo pubblico, compreso il paese di Tino. In tal modo, anche coloro che uscendo di casa si recavano a lavoro, a scuola, a fare la spesa o a compiere una semplice passeggiata, potevano rimanere costantemente aggiornati sui prodotti pubblicitari, ma anche sulle novità e i progetti governativi che si andavano a ideare per la popolazione. Chi si recava a fare compere, aveva così degli utili suggerimenti sul prodotto da acquistare, gli si offrivano nuovi attraenti articoli, ed era indotto quanto meno a cercarli nei vari negozi.
Spesso nel teleschermo pubblico venivano anche proiettate partite di calcio, spot elettorali, reality e concerti. Era insomma un servizio che alla popolazione piaceva, e divenne presto un’istituzione. Permetteva infatti a numerosi gruppi giovanili e senili di riunirsi in giorni prestabiliti e guardare i loro reality preferiti, dando luogo a numerosi dibattiti sull’argomento del momento, su chi, fra i partecipanti al reality, sarebbe dovuto essere eliminato o su chi invece godeva della massima stima. Ci si portava il cellulare per votare in gruppo durante i giorni delle nomination. Non mancavano in questi casi dei battibecchi che spesso sfociavano in vere e proprie risse per aver votato a favore dell’eliminazione di un concorrente, piuttosto che per quella di un altro. E questo avveniva anche fra gli anziani.
Quando Gianni Caprini venne eliminato da Gli Sfigati, alcune signore sulla settantina rischiarono l’infarto, e una teenager tentò il suicidio col cappio. Enormi pianti si ebbero quel giorno fra gli spettatori inchiodati al televisore di casa e fra i gruppi riunitisi davanti ai teleschermi pubblici. Gianni era divenuto l’idolo di grandi e piccoli per le scoregge che riusciva a produrre dalle ascelle e per il linguaggio piuttosto scurrile con cui cercava di conquistare la donzella per la quale si battevano gli sfigati. Il reality prevedeva infatti la partecipazione di dieci personaggi, poco o per nulla apprezzati dalle donne nella vita quotidiana, e costoro dovevano dare sfoggio di tutte le proprie risorse per far breccia sul cuore di una bella ragazza, ospite per circa tre mesi nella casa degli sfigati.
Quello dei peti dalle ascelle era un trucco che Gianni aveva rispolverato dai tempi passati, e aveva avuto il merito di renderlo nuovamente di moda fra la gente. Chi tentava d’imitarlo sentiva di solito ripetersi: «O Caprini!».
Nonostante la sua clamorosa eliminazione, Gianni continuò ad avere grande successo, e l’anno successivo ottenne degli importanti riconoscimenti. Fra questi, da ricordare, la laurea honoris causa conferitagli dall’Università di Milano e la sua candidatura politica in Parlamento. Il sondaggio popolare approvò a pieni voti questa decisione, e a furor di popolo venne eletto con quasi due milioni di preferenze.
Il teleschermo pubblico era divenuto quindi un importante elemento di coesione sociale fra la gente.
Mentre Tino si gustava gli ultimi atti dello spot, sentì una mano battergli con una certa forza sulla schiena, facendolo improvvisamente ritornare alla realtà. Girò lentamente collo e spalle e gli si presentò davanti il ghigno gioioso di Gian Ventura.
«E allora! Spaventato? Ah ah, guarda che faccia!»
«Stronzo, mi stavi per far venire un infarto!»
«Ma dai, esagerato. Che ci fai qui fermo? Ti stavi arrapando per lo spot della figona con i jeans? Ho già il suo calendario…»
«È uscito quindi?», domandò fibrillante Tino.
«Sì, sì, stamattina! E io ero in prima fila a prendere la prima copia, guarda…»
I due si avviarono a scuola sfogliando il calendario della bella ragazza ammirata nello spot, e i loro commenti si facevano sempre più caldi man mano che i mesi sfogliati si presentavano ai loro occhi come meraviglie indescrivibili, tant’è che arrivarono ancora bavosi all’entrata di scuola.
[continua]
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