Salvatore A. Emanuele - Acquedolci
Collana "Apollonia" - I libri dedicati alle minoranze linguistiche: lingua, storia e letteratura 14x20,5 - pp. 94 - Euro 13,00 ISBN 978-88-6587-8286 Libro esaurito In copertina: «Palazzo Municipale» fotografia di Innocenzo Gerbino Non potremo conoscere noi stessi Nota del curatore della Collana “Apollonia” Un giorno, l’amico Carmelo Faranda m’inviò un libro col titolo “Acquedolci” e mi anticipò che l’autore, Salvatore A. Emanuele, viveva a Firenze ma aveva trascorso l’infanzia ad Acquedolci, dove la famiglia si era trasferita da San Fratello, in seguito alla frana del 1922. Il libro risultava “finito di stampare in proprio, con parsimoniosa economia, il 23 agosto 2015”. A Salvatore A. Emanuele, che si era dichiarato felice che questo suo libro confluisse nella Collana “Apollonia”, che mi onoro di curare, non è stato riservato il piacere di vederlo pubblicato avendo egli concluso la sua avventura terrena il 5 novembre 2015 Benedetto Di Pietro Acquedolci
Nella dolce plaga che Acquedolci alberga Eolo alitante del parco fa agitar le fronde, Ben convien cogliere il riposto senso A chi lontano nostalgia alberga… soffre.
Io son cresciuto in contemporanea con la nuova Acquedolci, con essa ho condiviso sapori, amori, difficoltà e atavici sentimenti di grandi ostilità, a partire da poco dopo la mia nascita e fino alla primavera del 1943. Acquedolci non nacque nel 1922; già esisteva come piccola frazione destinata a scalo ferroviario del comune di San Fratello e comunemente chiamata dai sanfratellani, nel modo che direi familiare, “la Marina”.
Sorge sulla via Nazionale che porta a Sant’Agata; è una chiesetta che tutti i pellegrini raggiungevano per devozione al santo. Si trattava di pellegrinaggi penitenziali per grazia ricevuta o per implorarla. In questa lunga fila di penitenti, una volta ne vidi uno che deambulava con le ginocchia piegate a terra in atto di penitenza, mentre il lungo corteo si snodava salmodiando.
Sulla sinistra della via Nazionale verso Sant’Agata, partivano due vie private delimitate da muri di cinta delle quali una portava ad un antico trappeto situato accanto alla villa del notabile sanfratellano conosciuto in paese col soprannome “U Druèri”, un arpagone al pari di quello descritto da Molière. Le donne dedite alla raccolta delle olive raccontavano che se lasciavano per terra un’oliva, l’uomo le ammoniva dicendo loro che andavano raccolte “tutte-tutte” poiché un’oliva più un’altra producevano un grano d’olio.
La strada attigua a quella che va al trappeto divaricava quel tanto per poter giungere al ‘castello’ del Generale Antonino Di Giorgio, la villa signorile nascosta fra uliveti e agrumeti. Era il torrione merlato che sormontava lo stile neoclassico della costruzione il motivo per il quale questa fosse chiamata “Il castello del Generale”. Occupava un grande spiazzo e vi si giungeva da quella stradina polverosa ornata tutt’intorno da fiori di sambuco e da una graziosa buganvillea che s’arrampicava sui muri della costruzione e della strada che portava lì.
Dopo aver visitato le rovine della frana di San Fratello, Mussolini si portò col seguito ad Acquedolci dove venne allestito a bella posta un palco in legno nei pressi della stazione ferroviaria, esattamente dove ora la via Dante si interseca con via Barone Cupane e prima chiamata via delle Rimembranze e dedicata ai paesani caduti nella guerra mondiale del 1915-18. Ad ognuno dei caduti era dedicato un apposito cippo con targhetta recante il nominativo ed affiancato da un cipresso mediterraneo (Cupressus sempervirens). I cippi erano allineati lungo il percorso stradale fino alla via Nazionale, ora via Ricca Salerno.
Le prime case ad essere costruite ad Acquedolci negli anni che vanno da 1924 al 1926 furono le ‘popolari’ tra le vie Trento, Gorizia, Trieste e Fiume; tutte dotate di bagghju (cortile interno alle abitazioni, poste scalarmente tra loro per ovviare alla posizione digradante del terreno, dal monte verso il mare). Questi bagghju servivano per i vari servizi di casa: stendere la biancheria al sole, ecc. ed in molti casi per ospitare, la notte, gli animali da cortile. 1 Il dialogo è nel dialetto galloitalico sanfratellano; questa è la traduzione «Stasera maccheroni per tutti!» «Dio mio!... e la farina?» «Quella che usate per fare il pane!» 2 “Ognuno è artefice della propria sorte”. [continua] Contatore visite dal 28-11-2017: 3651. |
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