In copertina: fotografia dell’autrice
Prefazione
Nella silloge di poesie, “Tra cumuli di Eternità”, di Sarah Baciocchi, emerge chiaramente la necessità di riportare un intenso percorso d’indagine lirica che scandaglia la sofferta dimensione esistenziale e la percezione d’una “prospettiva di vuoto”, fortemente sentita, fino a penetrare ogni più labile percezione dell’umano vivere.
Tale percorso esistenziale-lirico, “amaro” e sofferto, conduce alla volontà di rivisitare le tracce ed i segni lasciati dalle esperienze: le “burrasche della vita” ed il sogno d’un “approdo”, i “lapilli del cuore” come le “carte sgualcite”, le “urla rabbiose” e le “note di vento”, il “silenzio degli astri” come i “segni sulla sabbia”, non sono altro che simboli lirici, custoditi nel cuore, che vogliono ricordare “l’instabilità di un equilibrio”, la continua metamorfosi della vita, la costante mutazione ed il lento dissolvimento d’ogni cosa terrena.
Le evidenze liriche vengono proposte con una versificazione breve, sintetica e scarna, strettamente interessata ad esprimere la pura sostanza della sua poetica: alcun orpello viene concesso come alcun inutile appesantimento viene preso in considerazione.
La Parola di Sarah Baciocchi s’incide profondamente nel cuore, i suoi versi fluttuano nell’aria “graffiando il cielo/di irrequieta rabbia”; catapultano nella vertigine immane d’una “apocalisse dei sogni”, lacerati da graffi, che evaporano tra i profumi di vita, e lei stessa confessa, da un lato, la sua “innocua sconfitta”: “Nella maledizione/ della mia impazienza/lascio solchi di inesperienza/veleggiare verso l’oblio”; ma, dall’altro lato, nella notte oscura e nell’arida attesa, ritrova l’ardore, la passione vitale: “Ho bisogno … dello scorrere del fuoco/tra le passioni alate/che tutto racchiudono/in un battito di ciglio”.
Nel “silenzio magico” dell’assenza, svaniti gli sguardi e le parole, “l’amore velato e celato” solo ora è compreso: e la poetessa si confida, con parole che esprimono una tensione a “donarsi”, fino a toccare le zone più profonde dell’animo, “nell’interiorità” del suo “universo”, come a desiderare di vivere “senza rumore” e senza parole, come ad immaginare la vita “senza agire”, dispersa in un silenzio “irraggiungibile ed inafferrabile”.
Il peso dell’esistenza assale, fa sprofondare nell’inquietudine, mentre la vita con i suoi inganni “soffoca i desideri”, tra “percorsi di fantasia”, riemersi dall’“abisso” dell’indifferenza: v’è la percezione di sentirsi in perenne equilibrio sull’orlo d’un precipizio, con la pulsione vitale che spinge, finalmente, a saltare la “voragine” scavata nell’anima, e lasciare che le “ceneri di vita/invadano l’Assoluto”.
Nel lento processo di “scavo”, tra le “scorie esistenziali” ed i “ricordi consumati”, emergono “giorni sospesi/in un soffio di malinconia”, l’abisso di una debolezza fortemente avvertita, che conduce alla paura di perdere “pensieri di ricordi” che “vagano nel tempo eterno”: il dolore con le sue cicatrici, l’amarezza e le brucianti ferite della vita vengono “frantumati dall’eco di labirinti lontani”, e la miscela di emozioni strappate alla “monotonia” e alla “disperazione di una vita vuota”, che diventa “peso dell’animo” di un tempo che opprime, generano un percorso di rinascita.
Il silenzio che la poetessa porta con sé, nel profondo del suo animo, tiene serrate le sue “fragilità”, testimonia le “tracce indelebili” che “incidono” il suo cuore, fino a confidare: “Nel rumore/di un’anima offesa/traccio/la mia violata identità”.
Le parole lacerano l’anima, sono simbolo della lenta caduta nell’inquietudine e nelle miserie dell’esistenza, nell’abisso di un “pozzo senza vita”, dove tutto è soffocato dal buio della menzogna, e da una” Verità celata”.
Emerge la necessità vitale di conquistare uno spazio che diventi oasi dell’anima, dove fare aggrappare le speranze, “dove posare il mio entusiasmo” e la necessità di “un’eco in cui racchiudere/la mia disperazione” scrive la poetessa: la delusione si accompagna al “dondolio di pensieri”, alle immagini falsate e agli “sguardi dimenticati”, alle “offuscate malinconie” dell’attesa che logora e “straccia” la memoria”.
Nell’intenso processo lirico Sarah Baciocchi cerca di risollevare il suo “pesante destino”, sperando nei “segni nel cielo”, come a voler scavalcare “l’inconsistenza” dell’esistenza, evaporata tra “frammentata identità” e “nascoste falsità”, dispersa nel “vuoto” d’un esistere senza senso, in attesa di essere fagocitata dal tempo: in questa dimensione lacerante non v’è alcuna speranza, né attesa che corroda i desideri, solo coriandoli di verità, percepiti attraverso il “silenzio del nulla”, rari frammenti di pensiero che si fanno spiragli di vita.
La vibrante visione poetica di Sarah Baciocchi catapulta nella “notte oscura dell’anima”, nel “fuoco di macerante delusione” e nella gelida constatazione di un estraniamento, in balia di un “vento di apatia” e di una malinconia devastante, preda di “ingannevoli dubbi” e “lacerazioni di strazianti tormenti”: una immersione nelle “voragini di disperazione” ed un lento abbandono nella “nullità” dell’esistere che ha “offuscato l’Essere”.
Il sigillo lirico della poetessa “Non sono più da nessuna parte/perché sono ovunque/tranne che in me”, diventa mera presa d’atto d’una condizione di annullamento del proprio Essere, del dissolvimento d’ogni prospettiva personale, e l’unica presenza reale, che diventa atto liberatorio, è la sostanza stessa della sua poetica fluttuante in una dimensione superiore.
Massimo Barile
Introduzione dell’autrice
Mendicante di me stesso
lascio che scorie di silenzi
mi attraversino.
Nella notte oscura dell’anima,
deluso,
abbandono briciole di sogni.
Incatenato nella maledizione
del mio desiderio,
non voglio più nulla.
Attesa di ghiaccio,
campane di terrore,
dove sono finito?
Tra cumuli di Eternità
il mio astra-tto – vaneggiar..