Opere di

Silvia Casali


Il gatto

Marco spense la radiosveglia, che lo destava con meno violenza delle comuni sveglie, e rimase qualche minuto a letto, poi si alzò perché rischiava seriamente di riaddormentarsi. Fece cinque minuti di esercizi e andò in bagno a lavarsi il viso per cercare di svegliarsi. In cucina, dove aveva già preparato la sera prima la tovaglietta, mangiò uno yogurt e dei biscotti. Guardò l’orologio, doveva affrettarsi, per cui finì di mangiare i biscotti in piedi mentre si scaldava il caffè.
In bagno si lavò e si vestì alla bell’e meglio, ma si pettinò con cura i capelli perché non sopportava quelli che si spazzolavano solo davanti e dietro o sopra avevano i capelli arruffati. La giornata era tiepida, per cui decise di andare in bicicletta, ci avrebbe messo meno tempo che in autobus. La scuola non era lontana, ma alle otto e dieci iniziavano le lezioni. Il suo viso stanco si rabbuiò: alla prima ora aveva quella tremenda classe terza, composta in gran parte da maschi svogliati e rumorosi.
Si avviò velocemente lungo le strade trafficate, rischiando di tagliare la strada ad alcuni anziani un po’ barcollanti e a bambini con i pesanti zaini, ma non poteva certo arrivare in ritardo e fare brutta figura.
Era ormai poco lontano dalla scuola quando sentì un forte miagolio. Si fermò e vide sul marciapiede, raggomitolato vicino ad un palo della luce, un piccolo gatto nero. Lo guardò e fu tentato di raccoglierlo, ma la scuola lo aspettava. Tra l’altro il dirigente era un tipo esigente e severo, molto rigido circa il rispetto degli orari. Però non poteva neanche lasciare lì quel povero micio, sarebbe probabilmente finito sotto un’auto. Lo raccolse velocemente, mentre quello, spaventato, tentava di morsicarlo, e lo infilò nella tasca del giaccone.
Arrivato senza fiato a scuola cercò il bidello.
“Nando, puoi nasconderlo da qualche parte fino alla fine delle lezioni? Termino alle 12.15.”
“Ma professore, dove lo metto? E poi, se lo scopre il preside?”
“Dai Nando, trovagli un angolino e magari dagli un po’ di latte. Io devo correre in classe.”
Nando, senza parole, rimase lì con il gattino in mano.
I ragazzi stavano urlando e lanciandosi oggetti vari. Vedendo entrare il prof si sedettero, tranne un paio che continuarono a scherzare come niente fosse.
“Ora basta. Silenzio” disse Marco buttando la pesante borsa sulla scrivania.
I due, con un ghigno strafottente, si misero a sedere.
Dopo una mezz’ora qualcuno bussò alla porta. Era Nando.
“Scusi professore, il preside le vuole parlare” disse con voce tentennante e occhi bassi.
Marco lo guardò con aria allibita.
“Vada, resto io con la classe.”
Lentamente Marco si avviò verso l’ufficio del dirigente e bussò.
“Entri, entri professore. Ma si rende conto di quello che ha fatto? Portare un gatto a scuola! Un randagio che poi si è messo a miagolare disturbando le lezioni delle classi prime. E può immaginare che risate e subbuglio tra gli studenti.”
Marco abbassò lo sguardo “Mi scusi.”
“Macché mi scusi, è una cosa inaccettabile. Da lei, poi, non me lo sarei mai aspettato.”
Marco restò in silenzio per qualche minuto.
Poi disse ”Quindi secondo lei avrei dovuto fregarmene di quel povero gattino e lasciare che finisse sotto una macchina?”
Il dirigente lo guardò con occhi stralunati “Ma cosa me ne importa a me di quel gatto. E non dovrebbe importare nulla neppure a lei. Il suo lavoro è fare l’insegnante e arrivare puntuale a lezione.”
Fece una pausa per respirare.
“E ora prenda quel maledetto gatto e se lo porti via. Riparleremo della questione domani.”
Marco uscì. Nell’atrio lo aspettava Nando con il gattino in braccio.
“Guardi qua, professore, è piccolo, ma mi ha morsicato tutte le mani.”
Marco lo prese e cominciò ad accarezzarlo. “Grazie, Nando” disse uscendo.

A casa Marco tirò fuori le ciotole e la lettiera che aveva messo in cantina anni prima, quando era morta improvvisamente la sua Sara, una gatta tigrata a cui era particolarmente affezionato. Da allora non aveva più voluto prendere altri animali.
Diede un po’ di latte al micio e lo guardò bene. Era proprio piccolo, forse di neppure due mesi e quasi sicuramente non era stato vaccinato.
Telefonò al veterinario e prese un appuntamento, poi si mise alla scrivania per correggere i compiti di latino. La maggior parte erano un disastro, come al solito, sebbene il brano di Cicerone non fosse difficile. Alcuni raggiungevano la sufficienza e solo due erano fatti proprio bene, opera di Anna e Francesca, due ragazze intelligenti e studiose.
Ad un tratto si accorse che il gattino si era accoccolato sotto la poltrona e sorrise.
La mattina successiva aveva lezione alle dieci, ma si recò a scuola un’ora prima e si diresse verso l’ufficio del dirigente, che però era impegnato in una riunione, per cui si sedette su una sedia del corridoio ad aspettare. Era molto nervoso, non sapeva bene cosa aspettarsi, si alzava, faceva due passi e si risedeva,
Nando passò lungo il corridoio e gli disse “In bocca al lupo, professore”.
La porta finalmente si aprì ed i colleghi di matematica uscirono facendogli un cenno di saluto.
Il dirigente si affacciò sulla porta e con aria severa gli disse “Entri professore, la stavo aspettando.”
Marco si accomodò sulla poltrona davanti alla scrivania dicendo “Non mi è rimasto molto tempo purtroppo, alle dieci ho lezione in seconda.”
“Alle dieci lei non ha nessuna lezione.”
Marco sbarrò gli occhi senza capire.
“Sì, ho lezione di italiano in seconda D.”
“No. Da oggi lei è sospeso per quindici giorni.”
“Che cosa? Ma sta scherzando?”
“No, non sto affatto scherzando. Quello che ha fatto ieri, portando a scuola di nascosto quel gatto e convincendo Nando a nasconderlo in un ripostiglio è inaccettabile e lesivo della dignità del nostro Istituto. Chissà cosa staranno dicendo i genitori degli alunni. E pensi se i ragazzi prendessero esempio da lei…”
“Ma dottore” replicò Marco, “si è trattato solo di un piccolo gatto.”
“Un gatto o un cane, piccolo o grande, non cambia nulla. Il suo comportamento è stato una violazione dei doveri di ogni docente.”
Marco rimase in silenzio. Inutile ribattere a quell’uomo a cui importava solo delle regole e del buon nome della scuola.
“Bene, non ho altro da dirle. Riprenderà le lezioni il 15 novembre.”
“E durante la mia assenza chi seguirà i ragazzi? Rimarranno indietro col programma.”
“Non si preoccupi, ci sono validi insegnanti che potranno sostituirla.”
Marco si alzò ed uscì in silenzio.
Mentre stava lasciando la scuola incrociò Nando “Allora, professore, come è andata? Tutto sistemato?”
“Non proprio, quel b…, va be’, lasciamo perdere Nando.”
Prima di rientrare Marco si fermò a comprare scatolette e croccantini per il gatto.
A casa lo trovò che dormiva sulla sua poltrona, sulla quale aveva già lasciato i segni delle unghie. Marco subito si arrabbiò e lo redarguì con voce brusca “Guarda come hai rovinato la mia poltrona!”. Il gatto alzò la testa e lo guardò con aria colpevole.
“Ok, ok, sei un gatto” gli disse guardandolo con affetto.
Nel pomeriggio lo portò dal veterinario, che gli fece una visita accurata. Poi con aria seria disse a Marco
“Questo gatto ha circa tre mesi. Sembra più piccolo perché è denutrito. Ma la cosa grave è che, non essendo stato vaccinato, soffre di panleucopenia, una forma virale molto seria. Ha avuto la diarrea o ha vomitato?”
“No,” rispose Marco con aria smarrita “però non ha mangiato e bevuto quasi nulla. Ma si può curare, vero?”
“No, non ci sono cure” rispose il veterinario, “mi dispiace, possiamo solo applicare terapie di supporto per non farlo soffrire troppo. Ora le prescrivo i farmaci.”
Marco tornò a casa con il gattino e gli preparò una cesta con un panno e poco distante la lettiera. Poi si sedette su una poltrona accanto a lui e lo accarezzò a lungo.
Nei giorni successivi, nonostante le terapie, il gatto peggiorò.

La settimana successiva Nando bussò alla porta del dirigente.
“Cosa c’è, Nando?”
“Scusi, c’è un pacco per lei.”
“Da parte di chi?” chiese sorpreso.
“Non c’è scritto nulla.”
“Va bene, lo metta qui sulla scrivania.”
Il dirigente finì la relazione che stava scrivendo, poi aprì il pacco, che conteneva a sua volta una scatola.
Fece un salto indietro: dentro la scatola, avvolto in una piccola coperta bianca, c’era il gatto morto.


Resto

Resto
e guardo il mare
Nel silenzio, solamente
lo sciabordio delle onde
mi culla
mentre osservo le traiettorie
dei gabbiani in volo
L’acqua avvolge
i miei piedi
tiepida
dolce
Anche oggi non ti ho trovato.
Ti ho cercato
in silenzio
volgendo intorno lo sguardo
cercando la luce dei tuoi occhi
E sono qui
ancora una volta
sola
davanti al mare


Tu, piccolo essere,
riempivi i silenzi del mio cuore
A tuo modo contenevi moltitudini
mentre, timoroso e curioso,
zampettavi accanto a me
nel grande giardino
Disteso sull’erba
non appartenevi a nessuno
accoglievi le mie carezze
ascoltavi le mie parole
ricambiandole
con sguardo amante
Te ne sei andato
all’improvviso
Il vuoto senza di te


Bellezza

Una linea mossa
all’orizzonte
una vela bianca,
finalmente nessun motore
Guardo e mi perdo in questa bellezza
nel blu intenso del mare.
Guardo e mi chiedo
come conciliarla
con la cattiveria degli uomini
e il dolore del mondo
Non ho risposta,
ma la domanda torna
e ritorna
Non c’è accettazione
per questa insanabile contraddizione.
Non è saggezza la mia,
troppa rabbia ancora
verso la madre
verso l’uomo
verso l’indifferenza di dio



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