Il fuoco della vita
Ho posto la mia dimora
sulla cima del tuo Amore,
e ora, il tuo fuoco arde,
sulla soglia della mia casa
Tu sei sempre là,
in tutto quello che mi circonda,
nei grovigli di corda,
che mi cingono il cuore.
Nel fuoco che tinge di porpora,
i miei tramonti incendiati,
di zafferano e corallo,
le mie albe lontane.
Tua la voce
che appiena il silenzio,
l’incendio che si propaga, e accende,
scisso in lapilli e incandescenti schegge
Tu, il Fuoco,
che donandosi arde.
La Fiamma che trasfigurando,
s’accartoccia e crepita.
Tu il Faro acceso nella mia notte.
La ragione e il senso.
Fiamma inesausta
Fuoco della Vita!
5 maggio 2008
Premio Letterario Il Fuoco 2008 – Opera 1^ classificata
Nel cuore di Gesù
Accogli, Signore Gesù,
la mia fragilità
nella Tua Misericordia,
e perdona le mie incoerenze.
Tu, che per Amore,
lasciasti la Casa di Tuo Padre,
sulle rive del Fiume Eterno,
nutri l’anima mia, con il Tuo Pane.
Lascia che lo spirito mio,
abbandonato, si dilati,
nell’urna del Tuo Cuore.
Io che portai, il mio dolore,
ai piedi della tua Croce,
per esser consolata,
e Tu, sulle spalle mi portasti,
per superare, come fosse un guado,
la profonda fiumana,
in cui annegavo.
Per me, rivolgi, al Padre, una preghiera,
a Lui, che con la Vita, per Amore,
alitò nel mio cuore la Speranza.
Pregalo, Figlio di Dio,
Signore Buono,
che abbia pietà,
dell’ultima sua figlia.
Scaccia l’ospite inquieto,
che mi attenta,
brucia l’accesso della mia dimora,
con la catartica fiamma
del Tuo Amore.
Fai, che l’anima mia,
giunga al Tuo Cuore.
17 febbraio 2008
__Premio Letterario “Città di Crispiano 2008” Poesia 1^ classificata_
Prima che faccia notte
Prima che la notte,
liberi le tenebre,
e l’algido
spirito del vento,
s’infranga,
contro la mia scogliera,
vorrei tornar con te,
stretta per mano,
lungo la via del faro,
fino al mare.
Vorrei poter riudir la tua voce,
i tuoi pensieri,
quel tuo profumo,
di grano a primavera.
Nel mio giardino ancora,
vorrei piantare un seme.
Un piccolo arbusto da annaffiare,
un fiore piccino,
a cui raccontare,
un’antica leggenda,
che ancora infiamma il mio cuore,
una semplice fiaba,
senza tempo e livore.
Una favola bella:
la nostra storia d’Amore.
Olum
Là, dove la terra è rossa,
e il cielo, profondo cobalto
nell’ora che allunga le ombre indorando,
i confini dell’infinito,
il fiato caldo del deserto confonde,
il profumo delle spezie, con il tanfo della sofferenza.
Lontano, in un cantone dimenticato della terra,
un mondo silenzioso, ogni notte, fugge,
imbarcato sul fiume delle lacrime, invocando misericordia.
Lucidi occhi d’onice nera, madri avvolte nel mistero di un velo,
strette alle loro creature, celandole allo sguardo torvo,
dei predoni della notte. Sciagurati avvoltoi, ladri di bambini.
E l’incubo diventa realtà.
Erba è il loro nome. E nell’erba si celano, di putrida erba
si nutrono. Sinistre carcasse scarnite,
ombre senza tempo, lasciano il cuore scuro della foresta,
imbrattati di nero fumo, il viso truccato, cinereo,
con inquietanti strisce, e vanno a caccia.
Squartando, uccidendo, rapinando, padroni del giorno e delle tenebre.
Sono gli OLUM dal capo bendato, l’esercito cupo
dei bambini soldato.
Rapiti, spariti, drogati, costretti all’inferno. Stuprati.
Precipitati in un orrido senza ritorno,
strappati a una madre da dimenticare, una casa lontana,
dove non potrà più ritornare.
Vitrei, sbarrati, senza colore, occhi di ghiaccio,
cerchiati d’orrore. Balocco un fucile,
compagno, il terrore.
E non può far altro, ormai, che uccidere.
Uccidere… uccidere, altri bambini. Creature, come lui,
condannate. Fragili fiori, sbocciati per caso,
nel fetido fango di un campo ammalato.
Rinnegato dal sole.
Dimenticati.
Nell’ultimo giorno dell’anno
Ho bruciato e sepolto,
il vecchio fantoccio.
Ho suonato tamburi,
campane e ferraglia.
I fantasmi ho scacciato,
con una spranga di legno,
e in un sogno di pace,
a un Buon Anno, ora brindo!
Brindo alla Fine,
che da là, è il Principio.
Brindo alla Sofferenza,
perché in lei, è il Compenso.
Brindo alla Vita,
Essenza e Fuoco, Ragione infinita.
Brindo all’Amore.
cemento che lega, futuro e passato.
E a te, brindando dico,
entra con me, con forza,
in un’altranno, ancora,
di questa nostra vita.
Amiamola, scrolliamola,
non giriamole intorno,
impolverandola di beghe.
Non aspettiamo il dolore,
per riconoscere la Gioia.
La vita è un gioiello prezioso,
e stress e indifferenza, soltanto,
uccelli rapaci, in agguato.
Regala le ali ai tuoi sogni e fermati.
Fermiamoci ad ascoltare,
il fruscio delle fronde, la voce del vento,
il canto degli uccelli,
il mormorio delle anime,
il silenzio della sofferenza.
E non arrenderti. Non arrendiamoci mai.
Mai! Perché la forza nostra, è là,
aldilà della Speranza!
L’isola ardente
In un giurassico spazio.
Una terribile notte.
Generata nel fuoco.
Dall’abisso, proruppe.
Contorce la doglia,
la terra straziata.
Il magma ribolle,
erutta furioso.
In mezzo al mare,
scaglia violento,
tra lapilli e cenere,
il suo tormento.
Sprofonda nell’imo,
la massa infuocata,
ma il Caos, la rigetta,
e con un boato,
al di fuori dei flutti,
la scaglia, invasato.
Respinto, il miscuglio,
si solleva sul mare,
la cresta dell’onda,
squarcia infuriato.
Trafigge la spuma,
e la profana.
Come un pugno di biglie,
lanciate per gioco,
la lava si scinde,
in schegge di fuoco.
Dalla rabbia del mare,
emerge una terra.
Figlia del sisma,
sfida il Creato.
Premio Letterario “Il Fuoco” 2004 – Menzione di merito
Le luci di Natale
E io, ritornerò,
malgrado, i colori della notte,
e la furia del mare.
E all’ultimo tocco della mezzanotte,
la pace scenderà nel mio cuore,
e la calma tornerà, nelle vene del mondo.
Tutte le creature,
lasceranno il loro caldo giaciglio,
e si incammineranno, verso la Luce.
Gli agnelli, giocheranno,
con i figli dei lupi.
Gli uccelli, voleranno cantando,
sulla spalla dei cacciatori. E
Le genti, dimenticheranno,
i colori delle loro madri, e ciascuno,
tutti insieme, pregheremo,
per un altro mondo, nuovo beato.
Fratelli in un sogno di pace.
E io, mamma, accenderò le luci,
del tuo presepe.
Metterò il Bambinello, nella sua culla,
e Lo ringrazierò, per questa nostra vita,
regalata.
E tu, ora, mamma, cerca in me,
il bimbo di ieri, e questa notte,
viziami ancora un poco.
Roma, il 25 dicembre 2003
Al compagno di sempre
E questa notte,
indosserò una maschera,
per non farmi riconoscere
dalla Malasorte.
Darò fuoco, alla malinconia.
E con te brinderò ancora una volta.
All’anno che nasce. Al futuro che intriga.
A una lacrima antica.
E appoggiata al tuo cuore,
voglio dirti che mi dispiace,
se qualche volta non sono gentile,
se smarrita, mi perdo nel vento,
ancorata ai miei fantasmi segreti.
Ascolta, tutto tace.
Il nostro giardino è deserto,
i nidi sono vuoti, e i passerotti,
volati via. E siamo qua soli.
Soltanto noi, e il nostro silenzio.
Allora, accendi tutte le luci,
travolgimi ancora in un valzer di fuoco.
E lei tornerà, la fanciulla di ieri,
con in dono, i fiori della giovinezza.
E tu la stringerai. Mi stringerai,
e come allora dimenticherò
tra le tue braccia ogni dolore.
E ora brindiamo!
A noi, a loro, alla Vita che canta.
A un passerotto piccino. Al figlio che torna.
Alla Speranza, che veste di rosa
il nostro giardino.
__Roma, 31 dicembre 2002**
Teorema irrisolto
Turbata dal tuo silenzio,
mi immersi,
nel mare profondo,
dei miei pensieri.
E quando giunse la notte,
la contemplai,
adornare di gemme,
la sua veste turchina.
E il mio cuore ammalato,
si lasciò andare,
trasportato da un legno,
senza meta,
nel fiume sotterraneo,
della malinconia.
E la realtà,
frantumò nel mio petto,
le mie rabbiose illusioni,
e distrussi in me,
la tua immagine.
E quando il cielo si spogliò,
del suo manto stellato,
per adornarsi,
con il velo rosato dell’aurora,
un raggio di sole,
staccatosi dal suo principio,
si specchiò in mare, e mi turbò,
illuminandomi senza parlare.
E mi allontanai,
per dissolvermi nell’increato,
di un teorema senza risposta.
Poesia prima classificata al concorso di poesia: Rieti Centro d’Italia 2001.
E ora
E ora, figlio mio,
che hai ripescato l’Anima,
l’orologio del tempo,
ha ripreso a ticchettare.
Tra presente e futuro,
ondeggia la Speranza.
Nel tuo giardino, è nato,
all’alba, un bianco fiore,
rugiada le tue lacrime,
è figlio dell’Amore.
E ringrazio ora il dolore,
che ti ha rigenerato,
gli antichi simulacri,
nel cuore hai lacerato.
Il mare ha srotolato,
dolcemente le sue onde,
sei un marinaio indomito,
che ha ripreso a navigare.
E ora, ringrazio Te,
Dolcissima Maria,
perché non gli hai permesso,
di perdersi nel mare.
Nel mare dell’oblio,
dove eterna è la notte,
e cieco, è il veleggiare.
Questa poesia fa parte della raccolta: “Non omnis moriar”, classificata al secondo posto al premio di poesia Jacques Prévert 2002
I colori dell’anima
Ecco, l’ultima rondine,
è volata via.
Inghiottita dalla malinconia,
ascolta assorta,
urlare il Silenzio.
Solleva, la notte,
l’orlo argentato,
della sua veste,
e dalla cima più alta,
della solitudine,
inquietante, la luna appare.
Schegge di luce,
infrante sul mio cammino.
E sento le lacrime,
scorrere impudiche.
Roventi dardi ghiacciati,
scarnificano la mia mente.
E il vento,
precipitando sibila.
Ora è il dolore, ad assalirmi.
Sfrontato, origlia alla mia porta,
fruga nel mio pensiero,
seduce la mia Anima,
che folle, se ne sazia,
e si trasforma,
affrontando ardita,
il più lungo dei suoi cammini.
E nel vuoto,
della mia memoria deserta,
dipingo,
il buio del tuo volto,
con i colori,
della mia Anima.