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Gli amori di Rebecca seconda edizione
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Prefazione
Il romanzo di Vita Minore narra l’esperienza esistenziale, costantemente alimentata dalla vita sentimentale di Rebecca, protagonista indiscussa del libro, e rappresenta una “cronaca di storia vera” di una donna che, fin da giovane, ha profondamente vissuto e sofferto.
La narrazione risulta decisamente coinvolgente e, al contempo, la scrittura di Vita Minore elimina tutti gli orpelli, così come gli inutili appesantimenti, e va dritta al cuore con parole intense, vibranti e sincere.
Il palcoscenico è la vita di Rebecca, costellata di relazioni amorose, e il suo percorso sentimentale vede il succedersi di illusioni e delusioni, momenti di sconforto e amarezza, sofferenza e violenza subita, ma lei riuscirà a preservare il suo carattere positivo, la sincerità e la stupenda forza d’animo, sempre ritrovando la fiducia in se stessa.
Emerge chiaramente che l’intenzione di Vita Minore è far percepire come la protagonista riesca costantemente a preservare e alimentare l’Amore nella sua concezione assoluta e a vivere con coraggio le difficoltà di un percorso che non è mai stato facile, soprattutto dopo essersi chiusa nel suo mondo interiore per qualche tempo, ritrovando però, ogni volta, la via della rinascita, grazie al suo cammino nella Fede, incrollabile, sincera e pervasa d’amore in un dialogo intimo con Dio.
La protagonista Rebecca, grazie alla sua forte volontà e alla capacità di rigenerarsi, pur muovendosi tra vicissitudini dolorose e sofferte, ha conservato nel suo animo la forza di illuminare la realtà spesso “triste e amara”, dura e faticosa, con la quale ha dovuto fare i conti, riuscendo sempre a superare gli ostacoli per “continuare a vivere”.
La storia di Rebecca diventa quindi simbolica e rappresenta l’evoluzione di un percorso esistenziale/sentimentale nel quale molte persone possono riconoscersi perché le tematiche affrontate sono quelle consuete di un romanzo sentimentale: la passione e il tormento, l’Amore che infiamma la vita e la perdita della persona amata, il dissidio interiore e la violenza sofferta e subita, l’ingiustizia del vivere e le speranze frantumate, le illusioni e i sogni infranti, ma, nella vita di Rebecca, la solidarietà e l’amicizia diventano elementi importanti nel divenire esistenziale, così come diventerà colonna portante nella vita, la fede incrollabile ed il valore del perdono.
Durante il processo narrativo, emerge il ruolo fondamentale che riveste l’amica intima Margherita che accompagnerà e aiuterà Rebecca, miscelandosi con il recupero memoriale del periodo della scuola, con il ricordo dei biglietti amorosi passati sotto il banco dal suo compagno di classe e le emozioni vissute con il primo amore Andrea e, in seguito, con Fulvio, conosciuto durante la festa del paese; poi, quando lei ha trentacinque anni, vi sarà Alessandro, il grande amore della sua vita, che purtroppo le sarà strappato dal destino funesto che si abbatterà, ancora una volta, su di lei.
Sarà proprio da questo dolore per la perdita del suo grande amore che Rebecca si avvicinerà alla Fede e, da quel momento, Dio diventerà il “compagno di vita” inseparabile, seppur seguiranno la relazione con Roberto, che sarà portatore di un amore possessivo dal quale lei si allontanerà, e poi la profonda relazione con Francesco che s’innamorerà in modo totalizzante e assoluto di Rebecca, con tutte le inevitabili conseguenze negative.
Nelle fasi del processo narrativo, con il susseguirsi delle relazioni sentimentali, emerge prepotente la consapevolezza del valore della Fede, caposaldo dell’animo di Rebecca, che si fa rifugio salvifico, dono da accogliere a piene mani: e lei lo fa con immenso amore e profonda sincerità.
Lei riuscirà a superare le sofferenze e le amarezze di un faticoso cammino esistenziale e diventare una “simpatica signora di ottant’anni”.
Grazie alla sua capacità narrativa Vita Minore rende fedelmente la sua intenzione, sempre giocata su toni delicati e pervasa di profonda umanità, allo stesso tempo, la sua Parola viene illuminata dalla sostanza autentica della vita stessa e la figura di Rebecca diventa simbolo di forza e rinascita: dal suo cuore e dal suo animo fluiscono i ricordi, le profonde riflessioni, le molteplici esperienze esistenziali, costellate dai rapporti sentimentali.
E, nell’ultimo atto, le considerazioni e le meditazioni di una donna che ha attraversato le stagioni di una vita lunga e intensa, fino a giungere ad una “quiete dell’anima”, ad una pace interiore, lasciando sempre aperto uno spiraglio luminoso verso una “nuova esperienza”, come a voler assaporare appieno il gusto della vita.
Massimiliano Del Duca
PREMESSA
Rebecca è una simpatica vecchietta di ottant’anni che ha vissuto una vita piena di intrighi amorosi.
Fra delusioni, violenze e falsità è riuscita a sviluppare tutte quelle qualità positive che in un essere umano sono apprezzabili, come l’umiltà, la sincerità, la forza, la fiducia in se stessa, l’amore universale e una fede incrollabile in un Dio, che è diventato, nel tempo, il suo unico compagno di vita.
Rebecca ha una fantasia sfrenata che la porta ad abbellire la sua triste realtà e, grazie a questo suo modo di essere, sopravvive in mezzo a mille disavventure.
La storia di Rebecca è quella situazione in cui, ognuno di noi può riconoscersi, rispecchiarsi e ritrovarsi, perché parla di odio e amore, amicizia e rancore, fratellanza, violenza, ingiustizia e perdono. Ma soprattutto parla di fede, Fede con la effe maiuscola, dove ognuno di noi può trovare quel rifugio che non troverà mai da nessun’altra parte del mondo. Proprio grazie a questa Fede in Dio, Rebecca riesce a sopravvivere in mezzo a tanta sofferenza e a raggiungere l’età adulta e poi, serenamente, la soglia della vecchiaia, dove si lascia andare a tristi ricordi.
Ora che tutto è passato, può permettersi di ricordare, riflettere, meditare e infine, raggiungere quella pace che da sempre rincorre e lasciarsi andare fiduciosa, verso una nuova esperienza.
Vita Minore
Gli amori di Rebecca seconda edizione
REBECCA
La vita amorosa di Rebecca cominciò molto presto. A solo cinque anni, il destino le piantò gli artigli nel cuore e non la mollò mai più.
Da allora, di giorno in giorno, il male conficcò sempre più le sue grinfie, seminando volgarità e ingiustizia, in quell’essere, in apparenza insignificante, qual era Rebecca; ma, dentro all’anima, tanto forte, da superare qualsiasi avversità. Tanto che niente la scalfiva, ed era sempre pronta a ricominciare, dimostrando prova di coraggio invidiabile che la resero negli anni simpatica, agli occhi della “gente per bene”, così come lei definiva la “gente comune”.
Era nata da genitori orgogliosi di appartenere a questo mondo, ma lei, in questo grande universo dove tutti lottano per sopravvivere, si era sempre sentita esclusa e diversa. Non si era mai sentita a suo agio come loro. “Loro” così sicuri nei loro gesti e nelle loro parole, ma in fondo al cuore degli ipocriti, pronti solo a scavalcarti appena avvertono la tua fragilità.
No, proprio non ci si trovava bene in questo schifo di mondo.
Così si rinchiudeva sempre più in se stessa, passando il tempo a parlare solo con la sua anima, osservando gli altri da lontano, come un cannocchiale osserva, non visto, una scena in lontananza.
E fu grazie a questo suo modo di vedere la vita, che Rebecca imparò a sopravvivere e a non naufragare, in questo mare, d’insoddisfatti e di bugiardi.
La vita non fu generosa con lei e il segno della sofferenza, di anno in anno, lambiva il suo volto, lasciando nel tempo un’impronta incancellabile.
Ora Rebecca è seduta su una panchina in fondo al parco e stringendosi nel vecchio scialle, si lascia andare a tristi commenti con il suo cuore. Parla lentamente, incurante dei passanti, che credono di vedere in lei la solita vecchietta ormai rimbambita dagli anni, che parla da sola. Rebecca non si cura di loro e si lascia andare indietro nel tempo, fino a raggiungere la sua infanzia. Rivive ricordi dolorosi e a stento trattiene una lacrima per non tradirsi con il mondo.
Ormai è alla soglia degli ottant’anni e sebbene la vita sentimentale con lei non fu generosa, il buon Dio ebbe pietà del suo corpo: lo modellò talmente bene, da renderlo invidiabile agli occhi degli altri.
Infatti, considerando l’età avanzata, Rebecca non può proprio lamentarsi, perché è ancora in grado di occuparsi di tutte le sue faccende e prendersi cura di sé, senza sentire il peso degli anni che lentamente avanzano su di lei.
Il mattino appena sveglia, accudisce per bene al suo aspetto, senza trascurare nemmeno un dettaglio, così com’è solita fare da sempre. Abituata com’è alle sorprese della vita, imparò molto presto, che doveva essere sempre pronta per qualsiasi evenienza. Così si vestiva con cura, pronta, se il caso lo esigeva, a uscire da casa, senza perdere troppo tempo frettolosamente, davanti allo specchio, per un imprevisto.
Così viveva la sua vita di donna elegante e ben curata nel tempo, senza troppa fatica.
Oggi è una deliziosa vecchietta dagli occhi mansueti che si aggira in solitudine, tra una panchina e l’altra, nel parco della sua città.
Preferisce la solitudine alla compagnia, perché così può permettersi di pensare e pregare, se ne ha voglia, indisturbata.
Spesso, lascia cadere fra le gambe il libro che sta leggendo, perché magari una frase letta, o sentita per caso, la riporta al passato.
E rimane lì, in quel parco, per ore, finché il sole non sparisce all’orizzonte.
Non ha una sua famiglia, nessuno l’aspetta, quindi può permettersi di stare fuori di casa indisturbata. Trova conforto nelle tante persone che abitualmente frequentano quell’angolo di paradiso e qualche conoscente al quale si è affezionata. E quelle quattro chiacchiere spensierate, riempiono la sua giornata; per questo motivo si è attaccata alle persone che incontra spesso nel parco.
Passeggia ammirando estasiata le oche e i cigni che nuotano leggeri nel laghetto artificiale, che si trova alle soglie di un salice piangente. Lei lì si sente a casa!
Conosce tutto e tutti di quella città. Ne conosce i segreti e le paure.
Stando lì per ore, ha imparato a capire bene l’animo umano.
A volte, non vista, ascolta i loro discorsi e sorride perché capisce che non sanno come risolvere i loro problemi, quando tutto sarebbe così facile per lei.
La cosa che Rebecca ammira di più in quel parco, sono le coppie d’innamorati che vi albergano di tanto in tanto.
A lei fanno tenerezza e con lo sguardo protegge la loro intimità.
Vorrebbe che tutti fossero felici ma da lì a poco delusa, vede la stessa coppia, che qualche giorno prima si giurava amore eterno, abbandonarsi ciascuno nelle braccia di qualcun altro; e si rende conto, pensando al suo passato, che niente è cambiato da allora, tutto in amore rimane immutato, c’è chi soffre e c’è chi se ne approfitta.
Socchiude gli occhi e guarda in alto; un piccione sta volando su nel cielo e per un attimo confonde la realtà, lo scambia per un gabbiano e rivede il suo mare.
A Rebecca piace leggere, sferruzzare a maglia e lavorare all’uncinetto. Così passa le sue giornate di donna arzilla; fra una panchina, un libro e un centrino appena finito e osservato con orgoglio, per essere riuscita ancora una volta, a finire un lavoro che aveva iniziato, magari, con un po’ di pigrizia.
Poi c’è Margherita, la sua amica. Lei passa spesso a trovarla e insieme fanno delle lunghe chiacchierate. Rebecca ascolta partecipe, ma non si lascia mai andare in confidenze; quelle le riserva per il suo cuore, è a lui che le racconta.
È in lui che trova conforto e forza per sopravvivere.
Rebecca si passa una mano sui capelli per sentire se sono a posto. La sua mano vi si sofferma un momento, ed è come se ne stesse assaporando il tempo passato, rivede il suo colore di un tempo, ora imbiancato.
Quanta cura ha sempre avuto di quei capelli: guai a toccarglieli!
Se ne occupava personalmente, molto di più del vestito che avrebbe indossato; e seguivano lunghe spazzolate e grandi acconciature.
Mai una volta qualcuno l’ha sorpresa con un capello fuori posto. Rebecca ne era orgogliosa e sospira pensando al tempo che è passato dando un’ultima carezza al suo capo.
Ricomincia a sferruzzare, ma qualcosa oggi non va: è inquieta e tutta quella gente, che sembra essersi riversata nel parco per farle dispetto, proprio non la sopporta.
È giorno di mercato e le persone ne approfittano per uscire di casa.
Almeno una volta la settimana, Rebecca è costretta a sopportare tutto quel movimento. Gente che invade “il suo territorio” e lo calpesta incurante del suo dolore.
Per lei che ama la solitudine, è una sofferenza in più, tutto quel movimento la mette ancora di più in agitazione.
In quei giorni di confusione non vorrebbe andare al parco, ma poi non resiste a quel richiamo e va, consapevole di tutto quel trambusto.
E poi, ormai è diventata così brava a leggere negli occhi delle persone, che non ha bisogno di chiedere o parlare, per capire il loro stato d’animo.
Lei li osserva non vista, e legge in ogni loro sguardo tutte le angosce o le felicità a essi appartenenti e vi partecipa con gioia, meglio di mille discorsi fatti a vuoto.
Perciò non è mai sola; sono gli altri a esserlo, e non sanno che in lei troverebbero un’amica che li capisce, li ascolta e prega per loro.
Ma nessuno guarda mai dalla sua parte.
A Rebecca fanno pena tutte quelle signore impacchettate nei loro vestiti lussuosi che si aggirano, con passo altero, fra le bancarelle del mercato, perché sente che, loro malgrado, si portano dentro tanta amarezza. Le vede sorridersi, chiacchierare con le amiche e ne ascolta tutti i loro discorsi, spesso carichi di problemi.
La cosa che la attrae di più sono gli occhi delle persone; si è accorta infatti che parlando, i loro occhi non s’incontrano mai, essi si posano sempre qua e là, in cerca di qualcosa che li appaghi. Così nessuna di quelle persone, vede qual è il vero problema dell’altro. Infine si salutano con un grande abbraccio e tanti sorrisi, che subito dopo si spengono, appena l’altro gira le spalle.
Rebecca scuote la testa e pensa: «Perché tanta falsità!».
Finalmente il mercato chiude, tutti tornano a casa e nel parco ritorna la quiete.
La donna ora è più serena, si alza dalla sua panchina preferita e, per sgranchirsi un po’ le gambe, si dirige nei pressi del laghetto. Le piace stare lì a guardare i pesci che affiorano dall’acqua, starebbe ore a osservarli. Ci sono anche tante tartarughe che entrano ed escono da quell’habitat. Osservandole Rebecca vede un po’ di sé in queste creature. La lentezza con cui camminano, per esempio. La paragona alle sue membra sempre più stanche; lo slancio con cui si tuffano in acqua, lo misura al coraggio con cui lei affronta la vita e la capacità che hanno le tartarughe di ritrarre il collo nel proprio guscio, come al suo bisogno di solitudine e ai suoi momenti di meditazione.
La mente a Rebecca fa brutti scherzi; spesso la tradisce e si mette a pensare a cose ormai passate. Come se lei “avesse nostalgia di quel passato”. E questa è una delle cose che la fa arrabbiare con se stessa.
Perché lei non ha nostalgia del suo passato, lo vorrebbe cancellare per sempre se solo potesse; eppure questo non la lascia tranquilla, e un vortice di ricordi la investe e la obbliga a farsi mille domande che rimarranno, purtroppo, senza risposta.
«E allora perché? – si chiede spesso con rabbia – perché non c’è giorno in cui quel passato non mi ritorna in mente? Perché, nonostante siano “cose ormai dimenticate” nella mia memoria, rivivono perenni tormentandomi? Cos’è che non va? Perché la coscienza, o l’anima, o qualcosa che dentro ad ogni essere vivente esiste, si ribella? Tormenta tanto, da non permetterti di dimenticare, t’induce a pensare, a riesaminare, a far commenti, per poi infine ricrederti e ricominciare? Perché non si può mai vivere al presente? Come se il passato non esistesse più? “Ricominciare” ma come, quando? Ormai i miei giorni sono alla fine, non c’è più tempo, come si fa a ricominciare? Ricominciare che cosa poi? Se ancora non sono riuscita a finire ciò che avevo cominciato? Allora bisogna iniziare davvero, ma da capo, dal principio, per rivedere il tutto. Partire da dove tutto è iniziato per scoprire “qual è stata quella cosa” che ti ha fatto inciampare, che non ti ha più fatto rialzare?»
Ed è proprio questa la parola che tormenta la mente di Rebecca: “ricominciare”.
E ci rimugina sopra, rivive gli avvenimenti e si sente sopraffare da tutti quei ricordi. Si lambisce l’anima a ogni ricordo. E più va indietro negli anni, più il dolore affonda i suoi artigli. Ne è invasa e non riesce a districarsi in quella massa enorme di ricordi, sono così tanti!
Rebecca si sente mancare, intrappolata in tanto viscido dolore e inconsciamente. Cerca una panchina cui aggrapparsi.
Un passante la osserva, ma ha troppa fretta per chiederle se sta bene o se ha bisogno di qualcosa.
Rebecca, inconsciamente, tira fuori dalla tasca il suo Rosario, come sua abitudine, e lo stringe forte nel pugno chiuso, portando poi la mano al petto.
È quello il suo unico conforto, è “a Lui” che si rivolge nei momenti di grande crisi e di sconforto e Lui, da lassù, non la delude mai.
E nemmeno stavolta, perché subito dopo si sente risollevare lo spirito e pensa: «Non sono sola.»
p>. [continua]
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