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Memorie di un bancario
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Vittorio Sartarelli - Memorie di un bancario
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Narrativa
14x20,5 - pp. 64 - Euro 7,00
ISBN 978-88-6037-8248
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In copertina: Prua per le Egadi © eldorado – Fotolia.com
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’autore è 10° classificato
nel concorso letterario «M. Yourcenar» 2008
Prefazione
In questa raccolta di racconti, Vittorio Sartarelli narra le vicende della trentennale carriera del protagonista Mauro, seguendo il percorso lavorativo nel suo Istituto di Credito attraverso le numerose vicissitudini che accompagnano il cammino di una vita.
Riaffiorano alla mente i ricordi e ne emergono molteplici considerazioni: tra orgoglio di appartenenza e sofferta consapevolezza che deve guardare con lucidità la mutevole realtà che, nel corso del tempo, trova davanti a sé.
Ecco allora venire alla luce la constatazione dei mutamenti avvenuti, le revisioni gestionali, i ricambi a livello dirigenziale. Come a seguire la realtà sociale che cambiava rapidamente e si modificava segnando gli indirizzi economici e le trasformazioni finanziarie, allo stesso modo le nuove logiche conducevano verso una realtà che vedeva le piccole banche destinate ad essere assorbite dalle più grandi.
La banca del protagonista era, senza dubbio, una “realtà locale” e soggiaceva a questa nuova direttiva finanziaria, subendo i vari corteggiamenti di un famoso Istituto di Credito del Nord Est, prima con un tutorato e poi con l’incorporazione effettiva, un nuovo assetto e un mutato orientamento: in sintesi, una banca posta sul mercato al miglior offerente.
Da questo radicale cambiamento nascono le delusioni e le amarezze del protagonista: un uomo di sani principi ed elevata professionalità, dal carattere forte e dotato di una volontà incrollabile, mai disposto a scendere a compromessi, sempre pronto a offrire la massima fedeltà al suo Istituto.
Un uomo che aveva messo al centro della sua vita la dedizione per il lavoro e per i valori morali che vedeva rappresentati dalla “sua” banca che, per cento anni, aveva espresso una parte della storia finanziaria della Sicilia occidentale, attuando una meritevole azione di promozione dell’iniziativa imprenditoriale ed artigianale.
La realtà faceva pensare che, forse, era finito il tempo delle illusioni ed era giunto il momento di andare in pensione: così venne il giorno della lettera di dimissioni.
Come ben sottolinea Vittorio Sartarelli, “c’è un tempo per tutte le cose” e nessuno ha le capacità né il potere di cambiare il corso degli eventi: le mutate situazioni economiche, il rinnovamento e le esigenze finanziarie, l’evoluzione della società sono da iscriversi ad un mutamento inevitabile con cui fare i conti.
All’interno di questo sistema in continua trasformazione, Vittorio Sartarelli inserisce la vicenda d’un uomo, con le sue speranze e delusioni, la dedizione e l’onestà, le sofferenze e i rimpianti: le esperienze lavorative di un impiegato di banca vengono raccontate con passione e, al contempo, con discrezione mai dimenticando il risvolto umano delle scelte o dei nuovi incarichi professionali.
Le vicende, a volte avventurose, altre volte sofferte e amare, rappresentano il nucleo centrale dell’esistenza d’un uomo che vede dispiegarsi la carriera lavorativa in un susseguirsi di spostamenti in varie sedi presenti sul territorio, in nuovi ambienti, affrontando nuovi rapporti umani ed esperienze lavorative.
Ecco allora che, nei suoi ricordi, affiorano il trasferimento nella filiale più importante del capoluogo siciliano, il soggiorno di tre anni nelle isole Egadi a Favignana per rimettere in sesto la sorti di un’agenzia che aveva subito un contraccolpo a causa del comportamento disonesto di un dipendente, i continui viaggi in aliscafo, l’incarico di responsabile della Cassa centrale dell’Istituto che comporterà un impegno gravoso e rischioso nonché una forte responsabilità che sentirà sulla propria pelle come il ricordo delle tre rapine subite durante la sua attività di bancario.
Vittorio Sartarelli riporta fedelmente, come in un diario d’un funzionario di banca, la lunga carriera con le difficoltà e i sacrifici, la lontananza dalla famiglia, i rischi affrontati e gli onerosi impegni nell’arco di trentacinque anni di lavoro bancario che non verranno ricompensati: anzi, lasceranno l’amaro in bocca dopo aver viaggiato nelle varie filiali della Sicilia occidentale passando la vita in un “viaggio continuo” senza mai poter dedicare il “giusto” tempo alla famiglia.
Ne emerge una scelta di vita orgogliosamente perseguita e condotta a termine senza mai “cedere” sul terreno dell’onestà e sicuramente difficile nel momento in cui alcuni capisaldi vengono meno eppure rimane la ferma consapevolezza di una “scelta di vita” alimentata dalla decisione e dal profondo impegno che riporta ad una “sfida” da vincere facendo appello al coraggio d’un uomo sicuramente dimostrato in numerose occasioni durante la lunga esperienza di “bancario”.
Massimiliano Del Duca
INTRODUZIONE
I racconti che presentiamo costituiscono una minima parte delle esperienze lavorative di un impiegato di banca, anche se esse rappresentano forse la parte più incisiva, sofferta e psicologicamente più traumatica che un lavoratore del credito possa avere nell’arco di una carriera che si è dispiegata, con diverse esperienze ambientali, professionali ed umane, fra le più variegate, per ben trentacinque anni.
Emblematica nei suoi ricordi di bancario, per Mauro, fu l’esperienza shockante e, psicologicamente devastante, di subire non una ma ben tre rapine durante tutto l’arco della sua attività espletata a trecentosessanta gradi nel settore del credito. Ugualmente difficile e indimenticabile fu l’episodio che si riferisce al suo scampato naufragio ma, ci sarebbero tante altre piccole storie da raccontare che, ovviamente occuperebbero altro spazio editoriale il quale, spesso, risulta tiranno con gli autori.
Si tratta di storie vere, estrapolate dal diario di un solerte funzionario di Banca, che durante la sua lunga e tormentata carriera bancaria, fra le altre vicissitudini, ebbe la ventura di passare tre anni della sua vita nella maggiore delle isole Egadi, Favignana dove il preposto della Filiale si era appropriato di una somma considerevole di denaro, e quindi essa era caduta in disgrazia nei confronti dei suoi clienti e, un po’ di tutta la popolazione isolana.
Fu grazie alle capacità e all’intraprendenza del nuovo direttore che quella filiale della banca si risollevò, riconquistando la fiducia della sua clientela e della popolazione dell’isola. Tutto questo però ebbe un prezzo, in termini di rischi, tribolazioni e pericoli che il malcapitato nuovo direttore dell’agenzia bancaria dovette affrontare in prima persona, compiendo sacrifici e rinunce che poi, alla fine, come spesso avviene, non sarebbero state ricompensate nella giusta misura dagli organi di governo del suo Istituto di Credito.
Vittorio Sartarelli
Memorie di un bancario
Le Rapine… in Banca
Mauro, da alcuni mesi era stato trasferito in quella Agenzia periferica del suo Istituto di Credito che aveva la sua sede istituzionale nel Capoluogo della Sicilia Occidentale e, nella qualità di Preposto, stava svolgendo un’attività di riorganizzazione del lavoro e di sistemazione di tutte quelle situazioni che, oltre ad essere irregolari, costituivano un pregiudizio a danno della sua Banca. Tutto quanto faceva, prendeva le mosse dalle sue conoscenze professionali, dall’esperienza acquisita e dallo spirito d’iniziativa; ora, egli si aspettava di vedere dei risultati.
I risultati non tardarono ad arrivare, certo, non è che tutto si mise subito a posto, egli non aveva la bacchetta magica, tuttavia, buona parte delle posizioni che sembravano di più difficile soluzione, si avviarono verso una favorevole evoluzione. In definitiva i risultati raggiunti lo confortarono, dando ragione al suo lavoro e lo spronarono a fare sempre meglio e di più, cercando di ampliare la clientela e soprattutto avendo cura di selezionarla al meglio.
Mentre Mauro continuava, di buona lena, il suo lavoro con serenità e professionalità, gli toccò di fare una nuova esperienza, di quelle che si preferirebbe non fare, anche perché non si sa mai come vanno a finire. Quanto prima, purtroppo, avrebbe subito la prima delle rapine delle quali fu oggetto come impiegato di banca.
Il primo impatto con quella nuova e malaugurata esperienza avvenne, inaspettatamente, poco prima della chiusura di cassa di un fine mese. Egli si trovava, occasionalmente, nella sala riservata al pubblico, vicino al cassiere, nella parte retrostante lo sportello, quando, improvvisamente uno sconosciuto entrò nell’Agenzia. Aveva dei movimenti strani che, tuttavia, denotavano la sua capacità atletica, avanzava rapidamente a saltelli irregolari, aveva in mano una grossa pistola ed il volto, travisato da un calza da donna.
Si pose immediatamente di fronte al cassiere e con modi rudi ed autoritari, che non ammettevano repliche, gli intimò di consegnare tutto il denaro che aveva nel cassetto. Nella sala, in quel momento, non era presente alcun cliente, nel silenzio che seguì all’intimazione del bandito, che a Mauro sembrò interminabile, la tensione e la drammaticità del momento era palpabile, mentre l’ansia dei presenti cresceva rapidamente.
A far crescere, ancora di più, la preoccupazione di coloro che stavano subendo una violenza psicologica, fu una trovata di dubbio gusto e sicuramente molto pericolosa che il rapinatore mise in atto: il balordo, rivoltosi a Mauro e al dipendente che occupava l’altro sportello, minacciandoli con la pistola e, per dimostrare che faceva sul serio, prendendoli di mira con l’arma, mise il colpo in canna. Il rumore secco e lo scatto metallico che provocò la manovra del malvivente fece trasalire tutti e tre i malcapitati.
Nella sala regnava un’atmosfera pesante di pericolo incombente, mentre lo stress dei presenti aumentava, anche in considerazione della imprevedibilità delle azioni e reazioni del balordo che, forse, era alla sua prima esperienza di rapinatore; non era certo un professionista, tanto era super agitato, goffo e impacciato e, appunto per questo, estremamente più pericoloso.
Mauro avvertì un brivido che gli attraversava la schiena, non aveva mai subito uno shock simile, ma doveva stare calmo e controllare le proprie reazioni, mentre osservava annaspare, anche in maniera maldestra, quel balordo che cercava di arraffare tutto quello che il cassiere, tremante e pallidissimo in viso, gli aveva messo a disposizione sul bancone. In un tempo sicuramente breve ma non apprezzabile quantitativamente, gli sembrò di ripercorrere tutta la sua vita passata, Mauro non odiava quel delinquente per il fatto criminoso che stava compiendo, ma, lo disprezzava profondamente a causa della sua bravata esibizionistica.
Egli, mentre si stava svolgendo quella rapina, in un tempo incredibilmente breve, stava, molto velocemente, riassumendo la sua vita. Si vedeva bambino, per le stradine di campagna di un piccolo paese pedemontano dove era sfollato con la famiglia, perché c’era la guerra, con i bombardamenti, quasi quotidiani, che ricordavano a tutti, quanto fosse precaria la vita, allora…
Risvegliatosi, improvvisamente, da quello stato di trans rievocativo, era alle prese con la realtà di quell’assurda situazione. Egli pensava, se durante quella manovra intimidatoria, un colpo, anche accidentalmente, fosse partito dall’arma di quel bandito, avrebbe potuto uccidere, per niente, uno di loro, spezzando, quasi senza motivo, una vita, con le speranze, le illusioni, gli affetti che racchiude in sé. Questa considerazione, così cruda ed immediata e pure così modulata e complessa nelle sue articolazioni, lo faceva riflettere su quanto sia sottile il confine tra la vita e la morte, la quale, ti può cogliere in qualunque momento, anche inaspettatamente e, in un attimo, porre fine a tutto.
Intanto, quello, continuava ad afferrare tutto ciò che gli veniva sotto mano, aveva preso anche i documenti di cassa che, solitamente, eravamo negli anni ’80, il cassiere disponeva in ordine, appuntandoli su due spilloni che si trovavano sul bancone. A questo punto, Mauro, per spezzare forse inconsciamente, quell’atmosfera di tragica attesa, si fece coraggio e, con malcelata indifferenza, fece osservare al bandito che era inutile che avesse preso anche i documenti contabili, che se ne faceva? A lui non servivano certo, mentre ai dipendenti dell’Agenzia erano indispensabili perché, senza di essi, non si sarebbero potuti ricostruire i movimenti della giornata e procedere alla chiusura contabile.
Con quella calza da donna, piuttosto stretta, che il malvivente si era calata sul viso, forse non vedeva neanche bene, quindi, recepito il messaggio, tirò fuori, dal sacco di plastica che teneva in mano, i documenti di cassa ancora infilati negli spilloni e li gettò sul bancone, poi ammonendoli, sempre minacciosamente con la pistola, affinché non si muovessero, guadagnò rapidamente la porta e scomparve.
Tutta la rapina durò solo pochi minuti, per fortuna, all’interno dell’Agenzia non c’era alcun cliente, per la qual cosa il malvivente non trovò intralci alla sua operazione criminosa. Coloro che avevano subito la rapina, tuttavia, ancora sotto shock, ebbero la sensazione che essa fosse durata un’eternità, lasciandoli come svuotati d’ogni energia, come se avessero sostenuto uno sforzo immane. Evidentemente la tensione accumulata che si era improvvisamente allentata, aveva procurato loro una sorta di collasso nervoso.
Ripresosi rapidamente dal contraccolpo psicologico, Mauro, appena uscito il malvivente, si affacciò sulla porta d’ingresso della Dipendenza e riuscì solo a scorgere un’auto che si allontanava a forte velocità e, della quale, non riuscì nemmeno a leggere la targa. Si precipitò allora nel suo ufficio e, preso il telefono, compose il numero della Stazione dei Carabinieri del luogo. All’altro capo del filo, però, non rispondeva nessuno, forse il piantone si era temporaneamente allontanato, magari per un bisogno. Ancora in preda ad una comprensibile agitazione, compose il 113 ed informò la Polizia del Capoluogo, poi, sempre molto turbato, informò la Direzione Generale del suo Istituto.
La conseguenza più immediata e, per certi versi, anche grottesca, a parte la paura subita, fu una sorta di “terzo grado” al quale Mauro dovette soggiacere, nella Caserma dei Carabinieri del luogo, per opera del Comandante della Stazione. Dopo il tardivo ed inutile intervento dei poliziotti, infatti, il Maresciallo, per cercare di recuperare affidabilità e autorevolezza nell’Arma, non seppe fare di meglio che rimproverargli, addirittura, di non avere assunto, nella circostanza, un atteggiamento sufficientemente impavido per agevolare la cattura dei banditi.
C’era di che sorridere, al danno si aggiungeva la beffa, tutto quanto doveva essere semplicemente la sua denuncia dell’accaduto, si era trasformato in un interrogatorio che aveva, almeno, del farsesco. Mauro se ne lagnò vivamente con il rappresentante della Legge, mostrando tutto il suo risentimento e gli rammentò, senza molti preamboli, la sua responsabilità di tutore della Legge e che spettava a lui ed ai suoi collaboratori, proteggere i liberi cittadini dai malviventi e di adoperarsi per la loro cattura.
Il quel periodo, denso di risultati favorevoli per il suo lavoro, archiviata e dimentica, nella sua mente, quella brutta avventura, per fortuna conclusasi senza danni, vi fu anche, purtroppo, per Mauro una parentesi dolorosa per la sua famiglia d’origine, infatti, il padre, da tempo gravemente ammalato, terminò la sua avventura terrena. Si trattò per lui di una grave perdita, che lo segnò profondamente; da sempre egli aveva instaurato un rapporto molto speciale, d’affetto, d’ammirazione e d’amicizia, con suo padre.
Seguì per lui un comprensibile periodo di depressione che, ovviamente, si ripercuoteva sul suo lavoro; si sentiva stanco, demotivato e senza alcun interesse, per fortuna la gran parte del lavoro che andava fatto era già stato compiuto e questo gli consentì, per un breve periodo, di vivere per così dire “di rendita” poi, quando pian piano cominciò a tornare alla realtà, provò nel lavoro di routine una gran noia.
Seduto alla sua scrivania, dalla finestra di fronte, poteva osservare un piccolo appezzamento di terreno recintato e coltivato, che confinava con l’immobile nel quale era situata la sua Agenzia; si trattava di coltivazioni ortofrutticole ed era, come già detto, di piccole dimensioni. Prima, soprattutto quando era arrivato, non aveva neppure avuto il tempo di guardare cosa c’era là fuori, tanto era stato il lavoro che l’attendeva e l’entusiasmo che l’animava. Ora, si ritrovava spesso, nel pomeriggio, durante le ore più tranquille della giornata, ad osservare quel piccolo orticello, sempre lo stesso, le sue dimensioni corrispondevano, metaforicamente parlando, alle attese di sviluppo della sua Agenzia.
Non ci voleva molto a capire che si annoiava, seppure la nuova realtà lavorativa da lui introdotta, con altri ritmi, avesse cambiato le abitudini del personale che collaborava con lui, tuttavia, la monotonia delle cose di ogni giorno, sempre uguali, gli rendevano la vita noiosa e gli facevano desiderare un cambiamento. In quell’atmosfera ovattata e bucolica, ma piuttosto sonnolenta, accadde qualcosa che lo fece ritornare, piuttosto bruscamente, alla realtà, in modo però piuttosto brutale e traumatico: in pratica l’Agenzia avrebbe subito la seconda rapina e, questa volta, in modo più rocambolesco ed inquietante della precedente.
Quella mattina, Mauro, doveva fare una serie di telefonate ad alcuni clienti ed a vari uffici della Direzione, stava appunto seduto dietro la sua scrivania, con la porta della stanza aperta che, dando nella sala adibita al pubblico, gli permetteva di osservare, riflesse nel vetro, come in uno specchio, le persone che si avvicinavano allo sportello della cassa. Fu così che, tra una telefonata e l’altra, osservò, non visto, uno sconosciuto, questa volta a viso scoperto che, pistola in pugno, si avvicinava furtivamente ma in modo veloce al cassiere, intimandogli di consegnare il denaro.
Anche questa volta, in sala non c’era alcun cliente, però, la cosa che lo preoccupava di più era che il malvivente non lo aveva visto e, quindi, non sapeva che nella stanza attigua c’era lui seduto. Mauro non sapeva come fare per attirare l’attenzione del balordo, senza che lui vedendolo improvvisamente, potesse reagire con un comportamento pericoloso ed imprevedibile. Decise di fingere una telefonata, salutando il fantomatico interlocutore, a voce alta, forte e chiara.
Sentendo la sua voce, il malvivente cambiò subito il copione dei suoi comportamenti iniziali: con un balzo si presentò davanti la porta dell’ufficio di Mauro. Una volta entrato, repentinamente, lo costrinse ad alzarsi e, sotto la minaccia della sua arma, lo costrinse a fargli strada fino ai locali del retro cassa. Tenendo tutti e tre sotto tiro, si fece consegnare tutto il denaro che c’era nel cassetto, poi, insoddisfatto, afferrò bruscamente il cassiere per un braccio e si fece accompagnare nell’angusto locale dove era custodita la cassaforte.
Il delinquente voleva tutto quello che c’era dentro, ma, purtroppo, c’era ben poco. Era risaputo che le disposizioni della Direzione indicavano di tenere sempre poco denaro contante in Agenzia; quando se ne ravvisava la necessità, c’erano gli assegni circolari per sistemare qualunque problema di liquidità di cassa.
Nella cassaforte c’erano soltanto alcune centinaia di migliaia delle vecchie lire, per altro in biglietti di piccolo taglio. Alla vista della cassaforte quasi vuota, il rapinatore s’infuriò notevolmente e, puntando la pistola alla tempia del cassiere, gli intimò di prendere gli altri soldi che egli credeva fossero stati nascosti in qualche altro posto. A quest’ultima, estrema, minaccia, il cassiere, già abbastanza provato, non resse oltre e si accasciò, pesantemente, sul pavimento privo di sensi.
Il balordo rimase per un momento interdetto, era evidente che non sapesse cosa fare, il panico s’impossessò, per un attimo, di Mauro e dell’altro collega che, avendo assistito impotenti alla scena, temevano che il malvivente rivolgesse le sue ire su di loro. A quel punto, tuttavia, il bandito, forse perché disorientato dal crollo fisico del cassiere, o forse perché si era reso conto che la rapina stava durando più del previsto, improvvisamente, voltò loro le spalle e, guadagnando rapidamente l’uscita, se n’andò con il misero bottino che aveva arraffato.
Mauro ebbe il suo da fare nel prestare soccorso e nel tentativo di far rinvenire il cassiere, questi era sempre sdraiato a terra, in modo scomposto, con il volto dal pallore cadaverico, che destava più di una preoccupazione. Finalmente, poi, quando non sapeva se chiamare prima un’ambulanza o le forze dell’ordine, il cassiere riaprì gli occhi stralunati ed ancora terrorizzati, lo rassicurò subito che tutto era finito e che il bandito se n’era andato.
Informò, quindi, telefonicamente i Carabinieri del luogo ed anche la sua Direzione Generale; i tutori della legge arrivarono, gli sembrò, con un certo ritardo, s’informarono brevemente sulla dinamica dell’accaduto e se n’andarono, non senza avergli ricordato di passare, dopo, in caserma per rendere la sua denuncia. Dopo essersi assicurato che il cassiere avesse ripreso il suo colorito naturale ed averlo rincuorato, Marco si recò in Caserma dai Carabinieri; seguì la solita pantomima della deposizione fatta, secondo un protocollo, consueto, di domande e risposte regolarmente verbalizzate, tuttavia, questa volta, le domande furono poste in modo civile e pacato, senza essere seguite da commenti ironici sul comportamento tenuto durante la rapina. Tutto si risolse in un laconico espletamento burocratico della faccenda criminosa.
In seguito Mauro fu chiamato, a più riprese, dalla Questura del Capoluogo, per procedere al riconoscimento d’alcuni fermati, perché sospettati di aver preso parte ad alcune rapine, ma, in nessuna circostanza egli poté riconoscere alcuno di loro. Intanto, anche questa brutta esperienza era passata, e con essa, lo spavento ed il conseguente disagio psicologico che sempre si accompagna ad un evento spiacevole e traumatico. La vita riprendeva il suo corso e tutto tornava come prima, gli eventi che si erano succeduti passavano, ormai, nel comparto dei ricordi.
Affermare, tuttavia, che quella rapina, come del resto la precedente, fosse passata senza lasciare tracce, significava accreditare coloro che l’avevano subita di un cinismo che sicuramente non avevano; tutti, infatti, in modo soggettivamente diverso, avevano ricevuto uno shock, in effetti, un accadimento del genere lascia sempre, psicologicamente, delle tracce indelebili. Il tipo di lavoro svolto dai bancari, soprattutto quelli che hanno compiti di responsabilità gestionale ed operativa, è pressoché sconosciuto ai più, perché non si conoscono le responsabilità ed i rischi che corrono coloro i quali esercitano questa professione.
Il tipo d’attività lavorativa svolta, sia a livello direttivo, sia a livello esecutivo, implica una sorta di condizionamento, psicologico continuo, strettamente legato alla pratica operativa quotidiana, che finisce per instaurare nell’individuo uno stress continuo e persistente. Questo fatto, anche se, con il tempo, viene assimilato e metabolizzato e quindi non è più percettibile, non può, alla fine, non incidere negativamente, sul fisico e sulla psiche di chi lo subisce.
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