Paura seconda (Articolo di Fiammetta Crivelli – Rivista Il Club degli autori n° 190-191-192 Anno 18 – Marzo 2009) Con la pubblicazione nel 1965 di Gli strumenti umani, sua terza raccolta, Vittorio Sereni aveva provato a chiudere con il suo passato: il passato lontano della dittatura, della guerra e della prigionia, e quello più prossimo della sconfitta – all’indomani delle elezioni del 18 aprile 1948 – della speranza di un radicale cambiamento nella società italiana, sconfitta colta nella amara e desolante imprecazione nella poesia dedicata a Saba: «[...] E un giorno, un giorno o due dopo il 18 aprile,/ lo vidi errare da una piazza all’altra/ dall’uno all’altro caffè di Milano/ inseguito dalla radio./ Porca – vociferando – porca. Lo guardava/ stupefatta la gente./ Lo diceva all’Italia. Di schianto, come a una donna/ che ignara o no a morte ci ha ferito1.» E anche Sereni era ferito, ferito dalla caduta delle grandi illusioni e dal successivo ingresso nella vita, o meglio negli ingranaggi, dell’industria capitalistica che gli apriva un altro orizzonte di ingiustizie e sfruttamenti, fino a sembrargli un altro campo di prigionia.
Niente ha di spavento In Paura seconda emergeva una memoria involontaria che spingeva ancora una volta il poeta a fare i conti con la sua vita, con le sue inadempienze e i sensi di colpa, ma in un’aria apparente di calma e pacatezza, in un dialogo – soliloquio dai toni distesi che nascondeva, però, un fondo di forte crisi esistenziale. Gran parte delle stelle non hanno splendore costante, ma variabile periodicamente: cioè non conservano sempre la stessa grandezza visuale apparente, ma in un periodo più o meno regolare, che va da qualche giorno a oltre un anno, la loro grandezza assume successivamente valori diversi: tali stelle sono dette variabili. Nel pur cambio di formulazione rimaneva intatto il senso di inafferrabilità proprio della vita, della bellezza e di giudizi inappellabili, colto ora però nella scientificità di un fenomeno astronomico, che non annullava affatto il senso struggente di quella vita fluttuante e mutevole, anzi vi aggiungeva un senso di smarrimento per quel venir meno della costanza delle stelle, tradizionali guide ai naviganti sul punto di abiurare al loro ruolo («Guidami tu, stella variabile, fin che puoi…»). D’altronde Sereni parlava di Stella variabile come di un libro complesso, emblema del suo modo di vivere la crisi: Un libro… che non si può riassumere o raccontare. Anche in questo senso esso dovrebbe esprimere quella compresenza di impotenza e potenzialità, la mia difficoltà a capire il mondo in cui viviamo e al tempo stesso l’impulso a cercarvi nuovi e nascosti significati, la coscienza di una condizione dimidiata e infelice e l’ipotesi di una vita diversa, tanto vaga e sfuggente oggi quanto pronta a riproporsi ogni volta che ne sappiamo cogliere gli indizi e le tracce umane. E’ il mio modo, in fondo di vivere la crisi3. La crisi è quella dell’uomo che non riesce ad inserirsi nel corso della storia, continuamente fuori tempo, scordato fino a sentirsi un estraneo, ma «all’origine dello smarrimento delle certezze, psicologiche ed ideologiche, [...] sta una radicale insicurezza di sé, il dubbio sistematico, nonché sul proprio ruolo, sulla propria stessa identità[4]». Stella variabile e in particolar modo Paura seconda nascevano anche dal bisogno di un bilancio della propria esistenza, bilancio che, somigliando tanto ad un processo, si scopriva fallimentare e lasciava il poeta a dialogare con se stesso, con la propria ombra e voce, in una sconsolante accettazione della sconfitta. La voce che chiamava Sereni di notte non aveva niente di spavento, come se il poeta fosse stato pronto a sentirla quella voce, lì ad aspettarla, una voce che non gli parlava più del passato ma di lui. Lo chiamava, ripeteva il suo nome, Vittorio, Vittorio, e chiama me /proprio me come garanzia del suo vero essere ma nel frattempo lo disarmava. Sereni non disarmato dalla sconfitta storica a cui era riuscito ad opporre il suo essere giudice implacabile della società, era ora disarmato dalla propria stessa voce. Ma pur senz’armi e indifeso non riusciva comunque a farla finita:
Ogni angolo o vicolo ogni momento è buono Paura prima e Paura seconda sono legate tra loro non solo dal titolo (che richiama Paura in li strumenti umani) ma anche per la profonda drammaticità di quel dialogo che si scopre essere monologo5: Mengaldo aveva parlato, analizzando Gli strumenti umani, del tema del rispecchiamento e dello sdoppiamento dell’Io, quando, cioè, il poeta riconosceva se stesso e la propria esistenza nel rinfrangersi nel proprio doppio, dove il dialogo prima che strumento di verifica di idee e sentimenti era verifica del proprio esistere6. Qui il monologo avviene però con il proprio killer, con un proprio sé a cui si chiede di uccidere l’altro sé, ma questo non avviene, il killer non è in grado di uccidere, non realizza ciò che è pregato di fare e lascia il poeta nell’impossibilità di fare giustizia di sé, in balia dei propri torti, del proprio passato e delle proprie carenze. Le poesie sono legate ancora dalle continue ripetizioni (me proprio me, Vittorio Vittorio, contro me stesso me, sparami sparami, non serve non serve) proprie di un disperato singhiozzo che non riesce a credere e allora ripete, ripete7. Grazie all’edizione Einaudi di Tutte le poesie di Giorgio Sereni curata da Dante Isella, è possibile analizzare le varianti di Paura Seconda, mettendo in relazione diverse stesure:
(Riporto sempre per ultima la versione definitiva tratta da Tutte le poesie) tit. La paura seconda X1
v.1 Nulla ha di tremendo M
v.2-5 la voce che mi chiama sotto casa/a metà della notte X1a
v.6 vento X1
v.9 i miei torti, oppure il mio passato X1
v.10 – Vittorio,/Vittorio – X1
Sereni aveva chiara fin dall’inizio la struttura sintattica che doveva avere il primo verso per essere incisivo, una anticipazione del complemento oggetto con una collocazione insolita delle parole che ritornava anche all’ultimo verso (arma/contro me stesso me). Ma era incerto sulla scelta delle parole: prima scrive “nulla” poi preferisce “niente”, forse perchè il secondo ha un suono più aspro visto l’incontro consonantico –nt e delle vocali anteriori –ie più acute rispetto a –u e anche più stridule. Sulla scia di niente sceglieva probabilmente anche spavento per la ricorrenza del nesso consonantico (si guardi anche a pioggia fuggiasca, nome enumera, disarma arma) sentendo “tremendo” troppo alto e lirico (inoltre lo spavento è più intrinseco alla paura).
Anche il verso 9 presenta una variante interessante perchè da una semplice alternativa «[...] non enumera/ i miei torti, oppure il mio passato» si passa ad un verso più carico, perchè il passato non è enumerato, d’altronde sono i torti a poterlo essere a mo’ di lista non il passato, che infatti viene ora rinfacciato. Ma questo passaggio ad una versione più aggressiva nei confronti del proprio passato (e dei propri torti grazie alla ripetizione di “non… …non”) non vuole centrare l’attenzione su di esso, anzi ha la funzione opposta: la voce che chiama il poeta infatti, diciamo la voce della sua coscienza, non si sofferma sui suoi torti che sono così tanti che si potrebbero addirittura enumerare, non sul suo passato, così pessimo che si potrebbe addirittura rinfacciare, ma su di lui, come a dire che nella sua esistenza c’è qualcos’altro ancora di più grave, nei confronti dei quali vale armarsi contro. Così anche quel “dolcezza” è lontano dal significare realmente il proprio significato, perchè la dolcezza di quella voce che chiama, disarma e nello stesso tempo arma il poeta contro se stesso in una battaglia già persa («Da solo/non ce la faccio a far giustizia di me») è il segno dell’accettazione di un conflitto irrisolvibile. E se ha ben ragione Mengaldo a scrivere che «la sua poesia nasce fondamentalmente come conseguenza e tentativo di risarcimento di una ferita non rimarginata, di un mancamento, una lacuna che stanno alle origini, e che diventano colpa8» davanti a Paura seconda viene il dubbio che questa ferita sia riconducibile totalmente alla guerra e alla prigionia, e che non si ponga invece anche in un altrove, magari insondabile, magari nella coscienza di una condizione dimidiata e infelice connaturata alla vita stessa. Cosa rimane tolta la guerra, la prigionia, i rimorsi, il senso di essere sempre in ritardo? Tolto il dolore, cosa rimane? La parte migliore? non esiste aveva scritto in Una visita in fabbrica. Per Sereni quella voce non aveva niente di spavento, perchè era una voce già conosciuta che non arrivava, nonostante l’ora di notte, inaspettata. Quasi una poesia del rovescio: «In astronomia si conoscono le stelle variabili. L’ho scoperto così: una sera accendo la TV e sento parlare di stelle variabili, e mi son detto, ecco è questa la cosa che io cercavo di esprimere. Detto in parole molto povere, queste stelle variano nell’intensità della loro luce, o addirittura scompaiono nel cielo, a seconda della posizione rispetto alla Terra. Su questo tema della variabilità, della contraddizione, delle cose come ti appaiono e del loro rovescio, si è formato tutto il libro9» Fiammetta Crivelli 1 «Gli strumenti umani è un libro che può anche essere letto come una raffigurazione della storia italiana – in una certa misura europea – degli ultimi quindici anni», F. FORTINI, Gli strumenti umani, in Tutte le poesie, Milano, Einaudi, 2005, p. XXIX 2 A. LUZI, Introduzione a Sereni, Bari, Laterza, 1990, p. 121 3 G. C. FERRETTI, Questo scrivere, così vacuo, così vitale, in Rinascita, anno 37, n. 42, 24 ottobre 1980 4 P. V. MENGALDO, Poeti italiani del novecento, Milano, Mondadori, 2001, p. 749 5 In Appuntamento a ora insolita, in Gli strumenti umani, Sereni si trovava a parlare con la gioia tornata accanto a lui dopo un breve distacco, per poi accorgersi che la vetrina in cui si era riflessa era tornata ad essere deserta. 6 P. V. MENGALDO, Iterazione e specularità in Sereni, in Tutte le poesie, cit., p. LX 7 «Si direbbe che le continue ripetizioni, [...] siano un tentativo di prender meglio possesso delle parole, di farle più proprie, quasi che solo iterandone la pronuncia il poeta riuscisse a trattenerne la dispersione e fuga, e a ristabilire il problematico contatto col lettore.» P. V. MENGALDO, Iterazione e specularità in Sereni, in Tutte le poesie, cit., p. LVII 8 P. V. MENGALDO, Iterazione e specularità in Sereni, in Tutte le poesie, cit., p. LXV 9 Dall’intervista di Anna Del Bo Boffino, Il terzo occhio del poeta, in “Amica”, 28 settembre 1982, raccolta in Tutte le poesie, cit., p. 189 Contatore visite dal 23-02-2009: 23869.
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