Alla memoria di
Pier Giorgio Mariotti
e Sara Piazza
Il profumo della notte
La fuga era scomposta, procedeva a zig zag e col fiatone. Si girò e guardò un attimo dietro, lui era sempre più vicino allora ebbe un’idea ma sempre correndo. Senza le scarpe col tacco sentiva di correre più velocemente, ma l’uomo sembrava guadagnare terreno in continuazione, mentre il cuore in gola le aveva acceso un fuoco nel petto. Ecco il vicolo, finalmente, buio ma breve, e alla fine si sarebbe trovata sulla strada principale in salvo, fra le luci! Ma ecco i bidoni nel mezzo dello stradino. Impossibile muoverli! – Maledizione perché li hanno lasciati proprio lì?- Pensò in un lampo. La schiena schiacciata contro il muro, il corpo completamente bloccato dal terrore, poi la faccia dell’uomo, la puzza di alcool e di tabacco, la mano dentro la maglietta subito lacerata e l’urlo, quell’urlo che non voleva uscire dalla gola chiusa dal cuore…
Asia si svegliò di soprassalto e si ritrovò seduta sul letto sudata e stravolta. Così quel terribile incubo era tornato, ed erano solo le due del mattino Dio mio! Fuori la pioggia sembrava cadere a bacinelle. Si alzò adagio temendo uno di quei capogiri improvvisi, come i temporali di questa pazza estate. Poi andò in bagno dove prese due compresse di Valium che l’avrebbero stordita fino al mattino tardi, tanto era sabato e non avrebbe dovuto recarsi in ufficio. Nemmeno al mare purtroppo perché pioveva. Tornò sotto le lenzuola e ripensò alla scena dell’incubo, ma questa volta senza terrore, quasi con un sottile piacere che le era provocato dal fatto di trovarsi al sicuro nel suo piccolo appartamento e in procinto di cadere in un sonno profondo. Asia aveva 21 anni e da cinque abitava da sola a New York dove lavorava presso un’industria farmaceutica nell’ufficio pubblicità.
Era carina, non vistosa, con due occhi da atollo marino.
Il suo carattere docile l’aveva presto fatta apprezzare dai colleghi con i quali però i rapporti si limitavano a quelli di lavoro, ad eccezione di Paola. Era il suo Capo Ufficio, 38 anni, capelli ramati, alta e formosa: una bella donna sicura di sé, divorziata da quatto anni e da allora senza fissa dimora sentimentale. Asia e Paola consumavano la colazione sempre allo stesso snack bar e in quei brevi momenti di pausa parlavano di cose intime, dei rapporti con i colleghi, delle avventure sentimentali, dell’amore e molte volte si ritrovavano a cena a casa dell’una o dell’altra dove trascorrevano piacevoli serate fra una chiacchiera e l’altra fino a notte inoltrata. L’amicizia si era ancora di più saldata dopo l’attentato alle torri gemelle, il loro ufficio è proprio all’angolo dopo, 50 metri da dove è accaduto l’irreparabile. In quella tragedia era morto Mark un buon amico di Asia. Fu durante una di queste serate che Asia aveva raccontato a Paola dei suoi incubi ricorrenti, delle sue paure, e l’amica più premurosa che mai le si era avvicinata sul piccolo divano accarezzandola come una figlia e dicendole che in fondo tutti gli uomini erano un po’ violenti e che anche lei, durante gli anni di matrimonio che non rimpiangeva, aveva dovuto subire i soprusi del marito. Asia aveva notato come Paola avesse appoggiato, durante quella chiacchierata, la mano sul suo ginocchio nudo e non le era sfuggita la carezza leggera sulla guancia. Non le aveva procurato fastidio, anzi durante la notte si era resa conto di una strana eccitazione che non le faceva prendere sonno.
Ciò che più mancava a John Rhussel era l’odore della strada, l’odore della città, l’odore di alcool, di tabacco, di donne, l’odore di vita in sostanza.
Aveva già trascorso un anno in quella prigione che lo avrebbe dovuto ospitare per altri 8 anni, ma John ormai sapeva che quella sera sarebbe stata l’ultima. Quante volte ha maledetto l’attacco alle torri: “Se gli aerei si fossero abbattuti sulle Twin Towers un giorno prima non avrebbero potuto catturarlo” e quella sera esattamente quasi dopo un anno, forse grazie alla ricorrenza ormai imminente sarebbe tornato un uomo libero. Lo consideravano malato di nervi e così lui era riuscito a farsi ricoverare sempre più spesso nell’infermeria dove la sorveglianza non era delle più rigide e quella sera ancora di meno. Bastava urlare con una certa insistenza per fare accorrere quei due imbecilli di infermieri che avrebbe potuto stritolare con le braccia, senza eccessivo sforzo. John Rhussel aveva 22 anni, ma la sua era stata una vita molto movimentata già dopo i 12 anni quando aveva violentato, o almeno ci aveva provato, la zia di un suo compagno di scuola. Poi la strada era stata la sua vera casa, visto che in famiglia lo attendeva un padre sempre ubriaco. In casa un via vai di persone, che come diceva il padre nei rari momenti di lucidità, lo si capiva perché in quei frangenti, parlava la lingua madre il dialetto romagnolo: “Tott cal parsoni al ven da la tu mà par purtei i salut di parint luntén” (Tutte quelle persone si recavano dalla mamma per portarle i saluti dei parenti lontani)
A diciassette anni si era sposato con una ragazza di colore che dopo avergli dato due figli era morta di un male strano, anzi lo sceriffo del piccolo paese non aveva mai abbandonato l’idea di qualche intruglio velenoso somministrato a Selly, ma non aveva prove.
I bambini erano stati presi in consegna da una vecchia zia di John che non aveva fatto che piangere, per giorni e giorni, nella stanza dove la moglie era morta senza un lamento. Poi aveva cominciato a vivere veramente, come lui aveva sempre desiderato. Piccoli furti, qualche spaccio di droga, donne a volontà, anche a pagamento, e soprattutto la città di notte tutta per lui, fino a quando un poliziotto non l’aveva sorpreso mentre toglieva il capriccio ad una ragazzina di 13 anni che per tutta la sera lo aveva guardato vogliosa. Era stato il pugno tremendo rifilato al poliziotto che gli aveva procurato quel noioso e lungo processo al termine del quale un giudice nero con capelli bianchi lo aveva condannato a nove anni di galera. Si era offerto un certo Salvatore come referente per poterlo avere in affidamento, sperando di farlo lavorare nel suo bar e fargli praticare la boxe; quello era ciò che quel ragazzo poteva veramente fare, ma anche quel tentativo più per John che per il giudice, fallì.
Ma ormai aveva deciso di tornare fuori dove la città ingorda lo attendeva, con le donne vogliose, il tabacco, il whisky e dove le sue forti braccia avrebbero avuto di che divertirsi. John guardò l’orologio: faceva le 22,30 del 6 settembre, decise che era l’ora. Nascose la bottiglietta di alcool sotto il cuscino e cominciò a lamentarsi piano, poi sempre più forte fino a che i due compagni di cella non si svegliarono incazzati. Poi il suo lamento diventò un urlo straziante e finalmente la luce si accese, anche prima del previsto. Successe tutto in pochi secondi. Appena l’infermiere armato fu dentro la piccola cella, un getto di liquido lo accecò fino a fargli bruciare gli occhi in modo tremendo.
Fu un attimo un pugno massacrante, lo accolse con una violenza inaudita fracassandogli la mandibola devastandogli il viso, lo aveva scaraventato sul letto di uno dei ricoverati. L’altro infermiere disarmato sentì solo un braccio enorme che sempre di più gli toglieva il respiro fino a fargli espellere un rantolo indefinibile che nella sua mente risuonò a lungo. Poi la corsa nel piccolo giardino, la rete, il muro, il muschio sotto le mani e finalmente la strada.
Già quell’odore inebriante di città, di auto, di fumo e la notte tutta per John Rhussel, di nuovo libero. Sentii dalla gola uscirgli un urlo gutturale.
Asia lasciò a lungo l’iniziativa alla radiosveglia che trasmetteva notiziari alternati con della musica e aprì gli occhi in via definitiva durante la splendida canzone tratta dal film – Guardia del corpo – cantata da Whitney Houston. Il cerchio alla testa le fece ricordare i due Valium e l’incubo, ma non si preoccupò più di tanto visto che aveva due giorni prima di dovere tornare in ufficio in perfetta forma. C’era solo la cena programmata per quella sera con Paola, una delle solite cene che questa volta si sarebbe svolta a casa sua. Confidò in una doccia fredda seguita da un paio di caffè per rimettersi in forza, ma lo specchio le consigliava anche una di quelle pillole verdi e un po’ di ginnastica, cosa che difficilmente in quella giornata Asia avrebbe potuto fare.
Era mezzogiorno trascorso da pochi minuti quando scese in strada per recarsi dal parrucchiere che, come sempre, l’avrebbe messa al corrente di tutte le notizie che già la sua radiosveglia le aveva proposto e le avrebbe consigliato ancora quella crema speciale per i riccioli più ribelli. Tutto si svolse come previsto e secondo rituale e con la testa in perfetto ordine prese una spremuta con un tramezzino prima di tornare nel suo piccolo appartamento, decisa a rimetterlo in ordine perfetto. Pensò alla cena che avrebbe offerto a Paola, la sua amica che nell’ultimo periodo si faceva trovare sempre più premurosa e attenta nei suoi riguardi. Indugiò un attimo davanti allo specchio con indosso solo uno slip e si ricordò dei suoi 21 anni, delle avventure ormai dimenticate, di Raul che non vedeva da tempo e senza rendersene conto sperò di essere bella quella sera, bella come non mai, provocante al punto di indurre Paola ad accarezzarla come quella volta, anzi ancora di più.
Paola Cool dal parrucchiere ci sarebbe andata solo alle quattro del pomeriggio, come faceva da sempre, una vecchia abitudine, la sola forse che aveva conservato della sua vita coniugale. Quel sabato mattina aveva indugiato a lungo nel letto, svegliandosi e riaddormentandosi diverse volte in un piacevole torpore che favoriva quei pensieri fantasiosi che nell’ultimo periodo si ripetevano sempre di più. Immaginava Asia sdraiata accanto a lei, poi piano piano le accarezzava il viso, il piccolo seno e infine la baciava languidamente. Paola si eccitava molto con queste fantasie erotiche e molte volte sentiva avvicinarsi un orgasmo che non tratteneva, ma che anzi stimolava con lente carezze.
Era stato così anche in quella mattina, ed era successo per ben due volte, forse perché la sera si sarebbe ritrovata con quella dolce ragazza, carina e, a modo suo, molto provocante. Sapeva di essere una donna perfettamente normale, di non essere lesbica, anche dopo il divorzio. Soprattutto dopo che il marito, sempre in cerca di nuove sensazioni, aveva portato a letto con loro un giovane pieno di muscoli che lui chiamava Lhorn. Non aveva sopportato la puzza di alcool di quella montagna di muscoli e nemmeno la sua foga a tratti crudele. Era rimasta fredda inscenando un orgasmo dietro l’altro. Pochi giorni dopo aveva piantato il marito e da allora gli uomini l’avevano interessata sempre meno.
I giornali avevano dedicato poco spazio alla fuga di John Rhussel, liquidando la notizia con poche righe nelle pagine di cronaca. “Fugge dall’infermeria del penitenziario dopo avere aggredito i due sanitari. Non dovrebbe essere armato e non risulta particolarmente pericoloso”. E poi una breve descrizione dei suoi trascorsi con accenni alla sua tendenza un po’ violenta nei confronti delle donne. “Alla faccia” disse una signora seduta comodamente in un bar: “Se questo non è un soggetto pericoloso mi dica il mio presidente Bush che io ho votato, chi è veramente pericoloso! Va bene che fra pochi giorni dobbiamo buttarci alle spalle sta tragica storia delle torri gemelle, ma per me che vivo da sola, qualche problema in più me lo pongo” “Dai Grazia chi vuoi che venga ad importunarti, va bè che sei una bella donna ma se hai bisogno ci sono io no?” “Capirai ho già capito che bisogno tieni tu Amedeo, il meglio del Colosseo!”
John entrò in quel bar alla periferia della città dove c’era sempre qualche camionista, quando la mezzanotte era trascorsa da pochi minuti. Sapeva che di sabato avrebbe trovato solo qualche autista che era fuori per lavoro. Lavoro di scarico e carico che lo impegnava più a lungo e quindi rimaneva lontano da casa, cioè in trasferta e quindi disposto a tutto. Giocare a carte o in cerca di donnine, tanto la mattina avrebbe dormito in albergo. Durante il giorno il nostro erculeo era riuscito a mettere assieme alcune centinaia di dollari con un paio di lavori presso la metropolitana per conto di vecchie conoscenze, ed ora poteva permettersi alcune nottate vere, vive oppure spellare qualche gonzo camionista di turno. Gli fece piacere notare che il bar era ancora discretamente affollato così come gli faceva piacere il fumo denso e quell’odore di vita. La cassiera era sempre quella rossa con le grosse tette, le fu subito accanto dopo aver bevuto d’un fiato due gin. “A che ora stacchi stanotte, rossa del mio cuore?” “Ho già due bambini a casa, pupo gira al largo che questo è posto da grandi” Le risate dei due camionisti appoggiati al bancone lo irritarono parecchio, ma si impose di non reagire per il timore di scatenare una rissa che avrebbe certamente richiamato le auto con sirena. Fu allora che la barista vide quel suo tic delle labbra specie a sinistra e realizzò chi poteva essere. John continuò invece con parecchi gin e finalmente, mentre il locale si svuotava e un uomo piccolo iniziava svogliatamente a pulire qua e là in modo molto sommario, uscì nella notte umida e ancora piena di rumori. Pochi minuti dopo anche la rossa: “Ci vediamo domani sera, Carlo – disse la signora infilandosi la giacca – e non darci dentro troppo con la scopa: potremmo perdere i migliori clienti se il locale apparisse un po’ più pulito…”
La rossa si incamminò verso la sua vecchia fuoristrada pensando a come facesse tanta gente a bere in quel posto schifoso, puzzolente e sporco. Per fortuna lei ne avrebbe avuto ancora per poco, visto che finalmente si sarebbe trasferita nel centro in uno di quei nuovi snack puliti dove soprattutto entrava gente pulita. Stava per aprire la portiera quando sentì una morsa tremenda che le bloccava il braccio mentre una mano le chiudeva la bocca. Pensò ai 200 dollari che aveva nella borsetta, e ai settemila e trecento che proprio quella mattina aveva mandato in banca, pensò che non avrebbe potuto urlare nemmeno se ne avesse avuto una possibilità. Non lo avrebbe fatto innervosire quel delinquente, un negro di certo, fatto fino ai capelli, un negro molto forte comunque a giudicare dalla stretta tremenda che le aveva immobilizzato il braccio. Forse aveva anche intuito chi era. Si sentì spingere al bordo del parcheggio e si ritrovò bocconi su di un’erba umida. Una mano le bloccava il braccio l’altra le sollevò, in meno che non si dica il vestito fin sopra la schiena e le strappò lo slip. Fu allora che capì, prima ancora di sentirsi penetrare con violenza da dietro, cosa voleva. Cercò di rimanere calma, assente e di non far caso al peso terribile che le opprimeva i polmoni e la gola dalla paura. Non poté fare a meno però di sentire la mano dell’uomo che sempre più le serrava la gola e in un attimo fu certa che quella mano l’avrebbe uccisa. Vide i suoi bambini, una casa in campagna con dei cavalli, una donna anziana che piangeva poi sentì l’inizio di un grande freddo.
La cenetta speciale che Asia avrebbe offerto a Paola era ormai definita:
Melone al prosciutto con fichi e Verdicchio di Jesi come inizio, filetto al pepe verde con patatine al forno, una bella macedonia, sorbetto al caffè, gelato e caffè, il tutto accompagnato, volendo, da una bella bottiglia di sangiovese di Romagna della cantina fratelli Braschi. Ormai Asia lo sapeva, piaceva parecchio a Paola, che dopo alcuni bicchieri di quel vino forte e profumato diventava spiritosa e di ottima compagnia. Il piccolo appartamento si presentava sicuramente meglio dopo i lavori che l’avevano tenuta impegnata diverse ore, nonostante avesse usato quei detersivi che nella pubblicità fanno tutto da soli, e appariva molto grazioso l’ingresso tappezzato in rosa (era stata dura convincere il proprietario ma alla fine c’era riuscita, anche il suo ragazzo era stato duro d’orecchie e forse per questo non si vedevano più; questo era uno dei motivi, gli altri non erano chiari nemmeno ad Asia), così come si presentava luminoso e allegro il soggiorno – cucina con le grandi finestre ombreggiate da tende tutte colorate. La stanza da letto era arredata in modo semplice con un letto moderno a livello del pavimento, un grande armadio pieno di specchi uno dei quali rotondo e bello grande che rifletteva chi giaceva sul luogo di riposo. Rimaneva il bagno, piccolo ma curato ed ora svuotato anche di tutte le cianfrusaglie che nell’arco della settimana lo facevano assomigliare ad un ripostiglio. Stanca, ma soddisfatta per l’ottimo lavoro svolto, si lasciò cadere sul divano cercando di indovinare che marca di cioccolatini avrebbe portato Paola quella sera. Anche il suo ragazzo spesso glieli regalava… Raul era un bel ragazzo, con il quale era uscita per parecchi mesi e che poi aveva piantato senza validi motivi.
Certo era molto premuroso, educato, cosa tanto rara al giorno d’oggi e la riempiva di regali. Ma non le aveva mai dato quelle sensazioni che lei si aspettava dall’amore, quelle sensazioni che, assurdamente, le aveva dato Paola in alcuni brevissimi frangenti. Non sentiva la mancanza di Raul e di certo non poteva essere innamorata di Paola. Si chiese se non fosse giunto il momento, a 21 anni, di pensare seriamente a frequentare un ragazzo, anzi un uomo con il quale fare progetti per un futuro che ormai doveva essere definito. Fu distolta dalle sue riflessioni dalla voce metallica della radio che stava dando notizia di un omicidio avvenuto alla periferia della città. “La donna – stava dicendo la voce – proprietaria del locale che gestiva da diversi anni è stata strangolata dopo essere stata violentata. Si tratterebbe dell’opera di un maniaco descritto in modo sommario da alcuni clienti del bar che lo avrebbero ascoltato mentre importunava la poveretta” Certo che la polizia sapeva chi cercare, era fin troppo chiaro che John lasciava evidenti tracce di sé. Asia ripensò al suo incubo ricorrente e si sentì, per un attimo, in preda al panico cercando di immaginare quella povera donna violentata e uccisa, proprio come stava per accadere ogni volta a lei prima di svegliarsi con un gran male di testa, nel sogno se dal sogno non si destava in fretta. Così pensando, mentre la radio dava notizie sportive fra le quali si accennava al perché in Italia il campionato di calcio non riusciva a partire, suonò il campanello. Asia subì una scossa elettrica per la paura, fu un attimo perché capì che non poteva essere che Paola. Il campanello annunciava l’arrivo di Paola, una donna simpatica e cara, una donna che di certo non avrebbe potuto violentarla e tantomeno ucciderla…
John seppe solo dai giornali di avere ucciso la rossa. Appena finito di toglierle la voglia infatti lui l’aveva lasciata sull’erba e le aveva preso quei pochi soldi che teneva nella borsetta. Era sicuro di averla accontentata a giudicare dai mugolii che emetteva durante il rapporto, e se poi il cuore le aveva ceduto non era certo per colpa sua. Lui ragionava sempre così, era lei che si doveva togliere e non lui. Mah! Era una donna molto calda lui lo aveva capito, e non aveva minimamente reagito quando l’aveva fatta sdraiare sull’erba. Piuttosto era preoccupato per quelli che avevano dichiarato di ricordare un giovane muscoloso e di colore. Ma ormai il “Ded Kitty” letteralmente Gattino Morto nome del bar, era lontano e lui si trovava al sicuro, nel centro elegante della città. Ricordò che il giorno prima era stata vietata la vendita del sito Napster dal tribunale fallimentare del Delaware dove si consentiva di “scaricare” gratis le canzoni e il suo simbolo era un gattino con le cuffie, detto appunto gattino morto. Coincidenza? Non se ne preoccupò tanto il nostro John era seduto ad un tavolo di un ristorante italiano, riverito da una bella mora che non gli toglieva gli occhi di dosso. Erano occhi vogliosi, di questo ne era certo e questo era quello che importava.
Uscì dal ristorante in un piacevole stato di euforia dovuto al vino forte che la ragazza con i capelli neri e lucidi gli versava continuamente e fu proprio nell’attraversare la strada che incrociò una donna alta, elegante formosa. Gli occorse un’ora abbondante di meditazione accompagnata da numerose imprecazioni per realizzare dove aveva già visto quella donna. Non solo l’aveva vista, ma ci era anche andato a letto. Era stato il marito, un uomo piccolo e probabilmente malato o poco normale, che lo aveva portato a casa sua dopo una festa. Lui era stato superbo con quella donna, l’aveva fatta gemere di piacere almeno per un’ora e lei ora non lo aveva nemmeno guardato.
Avrebbe dovuto rivederla quella donna, e l’avrebbe dovuta vedere senza quello scemo di marito che, ora lo ricorda, aveva cercato di toccarlo mentre si stava facendo sua moglie. Si diresse verso la pensione dove aveva preso una stanza e di nuovo fu folgorato dalla visione della donna: era in piedi dentro il negozio di Clementino, il parrucchiere che faceva la pubblicità anche sulle carrozze della metropolitana. Avrebbe aspettato anche fino a sera, poi l’avrebbe seguita fino a casa sua. Il resto sarebbe stato molto facile e piacevole, soprattutto per la donna che intanto era scomparsa in un’altra stanza assieme al titolare del salone. Dopo avere ascoltato pazientemente le lamentele del coiffer Clementino sul suo aiutante e al suo amico siciliano che ogni tanto scappava di casa, con un altro ragazzo, Paola salutò per la terza volta ed uscì con un sospiro di sollievo per entrare subito nel negozio di fianco dove vendevano i migliori cioccolatini della grande mela.
Erano le 18 trascorse da pochi minuti quando salì sul taxi che l’avrebbe portata a casa di Asia, e logicamente non si accorse di un’altra macchina bianca che si staccava dal marciapiede per seguire la sua. John al contrario non si lasciò sfuggire nemmeno un particolare della donna alta, elegante e decisamente sexy, e si impresse nella memoria il tragitto, non molto lungo, che lo portò in una zona residenziale molto elegante, una zona da ricchi di sicuro, una zona perfetta per quella donna in apparenza fredda e distaccata ma che sotto le lenzuola si trasformava, come lui ben sapeva. Fece fermare il suo taxi alcune decina di metri prima e annotò con cura nella sua mente lo stile della palazzina dove la donna stava entrando.
Si fece riportare in centro ricordandosi che ormai la morettina del ristorante italiano avrebbe di certo staccato e sarebbe stata libera di trascorrere con lui un paio d’ore.
“Ciao Asia cara, sono letteralmente a pezzi a causa di Clementino che mi ha di nuovo stordita con le sue lagne sul ragazzo che lavora per lui, e sul ragazzo compagno del suo collaboratore, insomma è un frocio che sta con un ragazzo gay che ancora una volta è scappato dietro al suo amichetto, che era andato a vivere con un ragazzo che abita a Manhattan. È sempre la solita recita, noiosa e monotona, ma loro sono troppo bravi” Mentre parlava Paola si era fermata dinanzi allo specchio dell’ingresso toccando qua e là il lavoro di Clementino, perfetto come sempre e in grado di mettere ulteriormente in risalto i suoi occhi verdi e i suoi zigomi alti, severi. Asia, come puntualmente le accadeva, rimase un attimo smarrita per l’esuberanza dell’amica e subito avvertì quel senso piacevole di soggezione intima. “In effetti stai benissimo, Paola, hai dei capelli meravigliosi. Dammi la giacca e accomodati sul divano: c‘è tempo per un aperitivo prima della cena”
A Paola, intanto non era sfuggito l’ordine perfetto del piccolo appartamento così come non le era sfuggito lo sguardo dolce dell’amica, quel suo viso così indifeso e l’armonia del suo corpo sotto un bellissimo vestitino di seta rosa. E anche il suo profumo appariva particolarmente provocante, come se non fosse bastato tutto il resto! “Hai sentito di quella donna violentata e strangolata la notte scorsa? È veramente terribile sapere che succedono queste cose”
“Asia cara, la città è piena di violenti, di maniaci, di bruti. È una fortuna per te abitare in questa zona tranquilla, qui sei al sicuro mia cara. Se poi penso alla zona dove abito io?” E già la prima carezza sul viso un po’ arrossato di Asia. John aveva calcolato bene i tempi poiché incontrò la giovane cameriera italiana che stava uscendo dal ristorante. Non gli fu difficile portarla nella sua pensione e fare l’amore con lei, ma la sua mente era altrove, era in un quartiere elegante della città e il suo corpo era nel letto di una signora, di una bellissima signora di classe che non era certo da paragonare alla sgualdrinella italiana che in quel momento cominciava a dare segni di insofferenza perché lui la penetrava troppo forte e da dietro. Lasciò che la ragazza, che a stento tratteneva le lacrime, uscisse da sotto il suo corpo e non si accorse che il collo era pieno di lividi. La vide rivestirsi mentre piangeva e la lasciò andare senza cercare di fermarla. Lei dalla paura riuscì anche a mandargli un saluto. Ormai il buio stava scendendo e lui doveva prendere un taxi che lo avrebbe portato in una via pulita, tranquilla, dove sorgevano eleganti e riservate palazzine…
Frattanto pur di sabato sera, il capitano della polizia di New York nel suo ufficio aveva da poco lasciato al telefono il sindaco della città: catturare a tutti i costi questo John Rhussel altrimenti sarebbe passato ad altro incarico. Quello di mozzo pescatore.
La cena che Asia aveva preparato si rivelò molto piacevole e anche il Sangiovese di Romagna recitò nobilmente la sua parte rendendo Paola più euforica che mai e accendendo i suoi occhi di una luce che Asia non aveva mai notato.
Le due amiche erano sedute sul divano per il classico Whisky quando Asia sentì con sorpresa la sua voce chiedere all’amica se le sarebbe piaciuto trascorrere la notte con lei. “Mi sentirei più tranquilla – aveva aggiunto con più lucidità – e soprattutto avrei qualcuno, almeno questa notte, se dovesse ripresentarsi quell’incubo” Paola non esitò ad accettare l’invito e ne approfittò per abbracciare distrattamente l’amica attirando il suo viso vicino alla sua guancia. Rimasero così per diversi minuti, con gli occhi socchiusi, poi inevitabilmente Paola accarezzò delicatamente il collo di Asia che ebbe un leggero fremito, meno intenso di quello che non poté trattenere quando sentì una mano leggera e piacevolmente calda accarezzarle il seno. I respiri erano più veloci e quando le labbra di Paola furono sulla bocca di Asia le lingue si intrecciarono in un bacio che diede alla due donne un piacere intenso, mai provato fino ad allora. E un piacere ancora più intenso assalì Asia mentre la mano di Paola saliva lenta lungo le sue cosce che lei divaricava adagio per poi stringerle quando la carezza si fermò sul suo cespuglio ormai bagnato per il gran desiderio. Si lasciò sfilare lo slip e accompagnò il viso dell’amica sul suo pube per accogliere un bacio caldo che la faceva fremere di un desiderio che ormai non poteva più trattenere. Raggiunse l’orgasmo con un gemito mal soffocato e cominciò a sua volta ad accarezzare le gambe di Paola che intanto aveva iniziato a toccarsi. Asia si rese conto di quanto fosse brava a fare godere l’amica e non si sorprese più di tanto quando la sentì implorare la sua lingua nello stesso punto dove lei prima era stata baciata fino a credere di impazzire. Asia era già al terzo orgasmo.
Ormai il divano non poteva più bastare per i giochi d’amore delle due donne e fu il tappeto a raccogliere i loro corpi che si cercavano, le loro mani che profumavano d’amore e le loro bocche che parevano insaziabili. Poi rimasero ferme, abbracciate e languidamente stanche. “Asia, sei meravigliosa. Non ho mai provato simili sensazioni, e questa notte resterò con te per farti impazzire, per dimostrarti ciò che provo per te e che da molto tempo volevo dirti”.
John aveva continuato a passeggiare nella zona senza perdere di vista la palazzina dove le luci erano ancora accese nei due piani superiori, quindi anche in casa della donna che aveva seguito poiché aveva appurato che il suo appartamento doveva essere al terzo dei cinque piani che componevano la palazzina. Erano le ventidue: troppo presto per farsi ricevere. Avrebbe aspettato ancora un’ora o poco più, poi si sarebbe annunciato al marito che lo avrebbe riconosciuto e lo avrebbe di certo fatto salire. A quello che lui avrebbe fatto una volta in casa, però il marito non avrebbe assistito. Unico problema per l’attesa era una volante della polizia che ogni mezzora passava a fare un controllo.
“Dovrò scendere a comprare le sigarette. Non prevedevo di passare la notte con te cara, e se al mattino non ho quelle maledette non riesco a svegliarmi” Mentre parlava Paola non aveva smesso di accarezzare l’amica che ora si era languidamente abbandonata fra le sue braccia in un torpore di estasi che le faceva sentire ancora tutto il corpo come scosso da un fremito interiore. “Scenderò io, Paola, vado nella strada qui accanto, nel bar dell’Orso che tiene sempre qualche pacchetto di sigarette nascosto.
Metterò la tua giacca, se lo permetti e sarò di ritorno in un attimo” Si alzò mostrando tutta la sua nudità a Paola che in quel momento avrebbe rinunciato a tutto, oltre che alla sigaretta, pur di ricominciare a toccare e a baciare l’amica. Ma avrebbe avuto per lei tutta la notte, e poi chissà quanto tempo ancora…
Fuori per la città si festeggiava la tragica ricorrenza: chi con il ricordo, chi partecipando alla Messa solenne alle torri inghiottite, chi nei pub o altrove, l’America non poteva né dimenticare e allo stesso tempo si chiedeva se quest’incubo poteva tornare.
I riflessi di John scattarono quando vide improvvisamente il portone della palazzina che si apriva. La donna che usciva era lei sicuramente, anche al buio avrebbe riconosciuto la sua elegante giacca, e anche il suo modo di camminare. Decise che l’avrebbe seguita subito e si sarebbe fatto riconoscere senza tirare in ballo il marito. Le fece guadagnare alcune decine di metri e si mise in movimento, molto eccitato. La volante della polizia era da poco passata, erano le ventitré e cinque minuti. Asia capì quasi subito di essere seguita, sentì lo stomaco irrigidirsi per il terrore che la stava aggredendo. Non aveva preso con se nemmeno il cellulare. Aumentò l’andatura ma i tacchi delle scarpe, modello Pollini calzature italiane, le impedivano movimenti veloci. Senza più le scarpe col tacco sentiva di correre più velocemente ma ormai l’uomo o chiunque fosse, guadagnava terreno, mentre il cuore in gola le aveva acceso un fuoco nel petto. Ecco il vicolo finalmente, buio ma breve, alla fine all’angolo si sarebbe trovata nella strada principale, nel traffico, sarebbe entrata nel bar, sarebbe stata in salvo. Gli sembrò di vivere, ma nella realtà il “suo” sogno.
Ma ecco che per lavori, forse per l’eccitazione della ricorrenza, tre bidoni larghi immensi nel mezzo del vicolo, impossibile smuoverli. La schiena schiacciata contro il muro, una mano aggrappata al bidone, poi la faccia dell’uomo, la puzza di alcool e di tabacco, il suo sudore intriso nella sua giacca, la mano dentro la maglietta, sui seni. La mano di Asia su qualcosa appoggiato su di un bidone, un oggetto appuntito forse un cacciavite. John non si accorse nemmeno che non era la donna che credeva. L’urlo che uscì dalla bocca, nitido e qualche cosa di molle a contatto con la punta di quell’arnese che la mano di Asia stringeva sempre più forte. Poi qualche cosa di caldo sul viso, qualche cosa di bagnato e il rumore sordo di un corpo che si afflosciava strisciando lungo un bidone.
Paola, sei in bagno? Il bar era già chiuso, ma forse ho un pacchetto di Marlboro in casa. Erano di Raul. A proposito, Paola. Ti sembrerà strano ma mentre ero in strada mi è tornato l’incubo. No, non preoccuparti. Questa volta è tutto finito. L’incubo non tornerà più perché nel sogno ho ucciso il maniaco”
Paola rispose qualche cosa che Asia non capì, anche se colse la risata allegra dell’amica. Andò verso il lavello della cucina e si lavò accuratamente il viso mentre l’acqua che scendeva dalla sua pelle appariva stranamente rossa. Mise a posto la giacca dell’amica dopo aver tolto una piccola macchia di sangue dalla manica. Si spogliò e si mise, nuda, sotto le lenzuola profumate del suo letto.
Non spense la luce perché voleva vedere il corpo di Paola che proprio in quel momento stava uscendo dal bagno più bella e provocante che mai.
Asia in quella notte tragica, di euforia d’amore era diventata donna; e che donna.