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In copertina: «white dove in flight 2» © Ackley Road Photos – Fotolia
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto l’opera è finalista
nel Concorso letterario «J. Prévert» 2009
Prefazione
Con questa raccolta di “Nuovi racconti”, Maurizio Paganelli offre delle narrazioni che implicano diversi livelli di lettura e dimostrano la capacità di variare le tematiche affrontate con attento sguardo alle molteplici manifestazioni della vita. Le vicende sono accompagnate dalle conseguenti riflessioni come in un continuo dialogo interiore: i protagonisti dei vari racconti, i ricordi che fanno riferimento ad alcune esperienze vissute dallo stesso Autore, le raffigurazioni e le fulminee visioni che vengono disseminate nei vari racconti, riconducono alla costante ricerca della conoscenza della realtà.
Ecco allora, nel primo racconto, la figura del nonno che racconta al nipotino le tragiche vicende durante la campagna di Russia nella seconda Guerra Mondiale e, al contempo, la profonda amicizia che lo legava ad un compagno e il dolce ricordo di una bellissima ragazza, sua futura moglie; e poi, la figura di una donna che si trova ad affrontare una vita di lavoro, sempre di corsa, con i soliti impegni per seguire il marito e i figli, le preoccupazioni e la paura che niente può cambiare e, durante il viaggio di ritorno dal lavoro, la sua fantasia vola, fantasticando cosa avrebbe fatto, sognando un altro luogo e non l’ambiente familiare con una vita scandita dalle abitudini, affrontando la pesante incomunicabilità con il marito, una sorta di distanza che non vedeva un possibile punto d’incontro.
Continuando ancora su questa tematica, viene raccontato il complicato rapporto tra moglie e marito, seppur legati da un profondo amore, quando, inaspettatamente, lui si accorge di un comportamento della moglie che sta cambiando e comincia a temere chissà quali conseguenze… ma la realtà sarà differente; e ancora, la storia di un uomo che, a causa di un raffreddore da curare, incontra casualmente una bella farmacista e inizia una relazione con la donna… ma lui è sposato e lei chiede di più.
Nella raccolta di racconti non mancano poi i riferimenti al tema della pace, della convivenza civile, la consapevolezza che la violenza genera violenza e anche un semplice gesto di pace può essere importante nonché l’importanza dell’amicizia e la necessità di “andare oltre le apparenze” come nel racconto “La notte dei mandarini” con la figura del vecchio Pietrone, uomo solitario, che porta sulle spalle la diceria di essere cattivo, ma il piccolo Lele, conoscerà il vecchio, diventerà suo amico e, farà ritrovare il calore dell’amore e dell’amicizia a quell’uomo che ha tremendamente sofferto nella vita.
Con questi rapidi cenni alle storie che compongono la presente raccolta, si può notare come le varie componenti narrative spaziano su tematiche differenti quasi in una sospensione tra le ambiguità della realtà, le contraddizioni del vivere quotidiano, le visioni d’uno sguardo attento che sa anche fantasticare nelle regioni dell’immaginario e, da queste rappresentazioni, si dipana la scrittura di Maurizio Paganelli, pervasa da spontaneità e genuinità, capace di trasformare i “racconti di eventi” in “racconti concettuali” che scandiscono la direzione della volontà dell’Autore.
Di racconto in racconto, Maurizio Paganelli si impegna a riscoprire la realtà delle cose che, sovente, sono ricoperte da un velo ingannevole e procede, con decisione, per recuperare le evidenze di un simbolico viaggio nei ricordi e nella coscienza che diventano risposte alle emozioni ed annullano le apparenze.
Massimiliano Del Duca
Nuovi racconti
A Wainer, un amico, che mi legge dal cielo leggero…
Non parlarsi
Era una domenica di gennaio, arrivava dopo una settimana difficile. Negli ultimi tempi sentivo che il mio matrimonio diveniva, ora per ora, un ingombrante mattone. Si penserà che dopo più di cinque anni, ci possa essere qualche momento di difficoltà, basta parlarne e una soluzione la si trova.
Questo è il punto, che tipo di soluzione: duratura o aggirante? Sonia, mia moglie da oltre due mesi, era strana, nervosa è dire poco, anzi lunatica, sessualmente lontana ed incapace anche di dialogare. Io spesso incavolato e con la corda tesa. Il lavoro, da assicuratore mi portava via molto tempo e a volte a stare fuori. Spesso a pranzare in piccoli o medi ristoranti, dove vedere o ascoltare cose di tutti i giorni sembravano a dire poco scontate. Per non dire, le volte, costretto a dormire in albergo ciò che si poteva intuire.
Quando poi capita che certe situazioni possono riguardarti, allora le cose cambiano e in modo profondo. Ecco che giovedì scorso, Leo, un mio collega scapolo, che sapeva tutto di tutti, comincia a diventarmi antipatico e glielo dico in maniera lampante.
Già è molto se capisce, ma questo non voleva afferrare, finì che afferrò un cazzotto sul muso, mi scusai subito dell’esagerazione e finalmente cambiò. Mi fu di grande aiuto, potenza della violenza. Gli raccontai a grandi linee della mia situazione, si dimostrò comprensivo cercando anche di farmi inquadrare la situazione da angolature diverse. Rimasi colpito se penso al suo comportamento, ma soprattutto senza parole per come lo avevo giudicato. “Sai – mi disse, – le menti sono come i paracaduti, funzionano soltanto quando sono aperti, ecco io avevo bisogno di essere aperto.”
“Appunto con un cazzotto.”
Quel giorno di festa di fine gennaio, pensai di stare da solo, in auto coi miei pensieri, poi girovagando con la macchina mi trovai a Forlì.
Ad un certo punto della vita qualcosa si spezza. Precisare il momento della rottura è illusione. È un momento che pesa quando si è già ossificato e ogni rimedio lascia il tempo che trova. È fase di transizione, impercettibile. Sento solo il peso della massa che fa da contrappunto alla levità della giovinezza.
Eppure, l’anagrafe mi rende formalmente giustizia, ma avverto la forza che schiaccia le membra ed impedisce di spiccare il volo. Tanto volavo, come insegna la potenza giovanile; adesso con questo corpo mi attardo a trascinare resti anelastici.
Il tormento maggiore è avvedersi della metamorfosi a fatto compiuto. E quando cerco nel groviglio dei ricordi non trovo che immagini del passato legate alla giovinezza o immagini di adulto nell’oggi.
Questa è la dicotomia. Non percepisco la fase mediana del passaggio. Ecco cosa mi strugge; e solo mi acquieto convincendomi del ciclo naturale, dello scorrimento della vita che come un ponte lascia passare acqua sempre nuova.
I fatti segnano una successione naturale dettagliando un presente ed un passato. Un passato che si riaggancia al presente col ricordo. Nell’impotenza dell’oggi, bussano alla finestra della coscienza i minuti magici sepolti, pronti a spargere il loro unguento benefico.
Le piccole gioie passate vengono a sorridere la vita per brevi attimi.
Una serie di clacson mi fece sobbalzare, il semaforo era già verde; e, dall’arrabbiatura, da tempo.
Allora decisi, ancora intorpidito, di fare un salto da Chiara l’unica sorella di Sonia.
Erano le 14,30 rimasi bloccato vicino allo stadio, probabilmente i galletti del Forlì giocavano in casa. Che fare? Parcheggiai l’auto a circa 600 passi dallo stadio e proseguii a piedi, tanto Chiara era poco più avanti del semaforo del Morgagni, nome dell’impianto sportivo cittadino. Mi soffermai non so come sul viale, mi sembrava bello lineare, ben curato, pensare che da studente lo avevo percorso migliaia di volte. Intorno un bellissimo sole più che primaverile, i bellissimi pini sembravano parlamentare con il cielo. Dopo trenta passi una villetta bianca ordinata con una grande targa, senz’altro un libero professionista, mi colpì. Al centro un grande ulivo, maestoso sembrava sospeso nel vuoto, avvolto nel mistero del mondo, con quelle foglie verdi antiche, dove il sole giocava a nascondino per non sparire, oppure per far sudare un po’ meno vecchi e bambini. Nel mio contemplare fui svegliato da una voce:
“Marco, Marco, che cavolo fai.” Riconobbi Ilario un vecchio compagno di scuola dell’I.T.I., l’istituto tecnico.
“Dai vieni alla partita, dai forza”, mi trovai come portato fra una parola e l’altra, davanti al botteghino dei distinti. Mio malgrado misi le mani al portamonete,
“Ma no! Lascia stare, ho una tessera anche per te sei matto, non posso far pagare la mia mezz’ala del cuore, dopo il codino” (R. Baggio).
“Sei sempre il solito, beato te che non cambi mai.”
“Cambiare per cosa, sai ora che abbiamo superato i 40 anni è il momento migliore, a proposito bimbi in arrivo?” Per un attimo pensai che razza di domanda dovevo sentirmi fare, era l’ultimo pensiero che avevo, “No non ancora sai il lavoro, caro il mio gemello, forse i prossimi due anni chissà. A proposito il Forlì gioca con la Fermana?”
“Sì, oggi si vince facile” dice un ragazzino di corsa, “con questa vittoria andiamo al secondo posto e da soli.”
Se lo dice lui col pensiero.
Dopo mezz’ora ero annoiato a morte, direi frastornato col globo. Vedere duemila scarse persone, smarrite, senza avere visto un tiro in porta. Mah! La mia Juve, andava peggio perdeva in casa con il Brescia.
All’intervallo salutai in modo poco educato l’amico, ed uscii deciso ad andare da Chiara. Fatto di gran carriera la distanza per arrivare alla mia Fiat Uno, rimasi folgorato, di fronte alla villetta bianca. Non per lo splendido ulivo, ma per la Passat bianca di mia moglie: che ci faceva alle 15,27 a Forlì? Ed in quella villa. Continuando a tenermi il mio imbarazzo crescente aprii l’auto e mi sedetti, accesi la radio e guardai la villa, la macchina e poi tante altre volte il contrario. Dieci minuti dopo, l’unica cosa cambiata era il pareggio della Juve e a Genova, allo stadio, c’era stato un tifoso accoltellato, purtroppo morto. Solita stupida violenza.
Ma il mio pensiero il mio sguardo era tutto là. Alle 16,05 Sonia esce con un distinto signore, che l’accompagna con fare gentile e le apre lo sportello, lei sembra guardarlo con infinita gratitudine, per non dire altro e lo abbraccia, si salutano e la vedo prendere la strada verso il centro, che si rechi dalla sorella? Mi chiedo, con il cuore che pompa nervosamente tanto che brano a brano, lo senti quasi in gola, parto con andare nervoso a scatti verso Cesena. Strani pensieri si accavallano nella mente dell’uomo, qui si vede quando si è poco razionali, mi chiedevo se avessi fatto la scelta giusta a non andare dalla cognata, sarei stato sicuro di trovarvi Sonia? O forse inconsapevolmente avevo agito proprio al contrario! Così pensando a Forlimpopoli, una ragazza bruna fa segno di volere un passaggio, non le bado, lei mi fa le corna, lo vedo dallo specchietto, allora guardo di buon grado di sfogare la mia totale arrabbiatura, da toro anzi da cervo, su di lei.
Rimane imperturbabile, poi: “Ci hai ripensato? Ti ringrazio devo arrivare a Cesenatico.”
Rimango senza parole, guardandola bene la trovo straordinaria, lunghi capelli neri, che le scendono sulle spalle, bella molto bella, vestita in modo giusto, una gonna che le sfiora le ginocchia, un viso simile a quello di Federica Moro, devo proprio essere ridotto male a non averla notata subito.
“Salga, fino a Cesena la porto di sicuro.” “Solo? Che peccato, mi chiamo Claudia.” Continuo a guidare pensando ai fatti miei, e che fatti.
“Vedo che è di molte parole, scommetto che non fuma nemmeno, potrebbe portarmi almeno fino a Pontepietra, lì mi sarà più facile arrivare a destinazione, poi…”
“Vuole anche un cappuccino, oppure un frullato.” Deciso replicai: Perché poi un frullato pensai, forse perché mi giravano molto le balle.
“Ah! Allora non è muto, sa, ha una bella voce e…” “E poi chissà cosa ancora.” “Che modi, se è parecchio incavolato per le sue cose che c’entro io, si sfoghi con chi di dovere.” “Vuoi scendere?” “La macchina è la sua.”
Così dicendo mi fermai bruscamente a Capocolle. Mi salutò e si accinse a scendere…
“Mi scusi sono un grosso maleducato, se per lei va bene comunque la porterò dove mi ha chiesto.”
Risalì ringraziandomi ancora per il passaggio fino a Cesenatico. “Mi chiamo Marco e mi ha trovato in un giorno che più nero di così si muore; mi pare lo si veda.” “Ah sì! A chi lo dice, ho 23 anni e siamo, assieme al mio ragazzo, (sono otto mesi che stiamo insieme), andati alla porta D’oro per fare due salti, poi lui ha incontrato una sua amica e si è messo a fare il cretino così ho preso, e mi sono fatta quattro passi, adesso può andare a cagare.”
“Forse è stata una stupidaggine a quest’ora sarà già pentito magari la sta cercando” replicai.
“Che cerchi pure, oggi, credo di avere capito con chi mi ero messa.”
Ero già a Cesena, di buon grado avevo maturato in testa l’idea di arrivare a Cesenatico, tanto avevo altro per la zucca. Strada facendo mi chiese il perché del mio stato, e chissà perché le raccontai la storia. Claudia partì con un ragionamento degno del miglior Leo, lei metteva al centro la situazione di noi due: io e mia moglie. Sonia la chiamò proprio così. “Può darsi che abbia qualche problema, non solo sentimentale ma anche fisico, ne sei sicuro che non è così?” mi domandò. “Voi uomini avete il potere di arrivare sempre e comunque ad un’unica soluzione, poi una volta accorti dell’errore, vi sentite grandi se riuscite a chiedere scusa.”
Questa ragazza mi illuminava praticamente la strada, tanto che erano le 17,36 ed avevo solo i fanali di posizione accesi, forse dall’alto dei miei 40 anni quel pomeriggio sentii i suoi 17 in meno tutti permeati di buon senso, ciò che non avevo io. Ripensai al semaforo, alla giovinezza ed a quei momenti che non sappiamo allora certificare.
Parlai con lei come se la conoscessi da una vita, io, sempre restio a comunicare.
Mi fermai al Cigno Blu un pub, mi volle offrire un aperitivo e mi invitò di giovedì. “Io sono sempre qua, dalle 22 in poi se passi da queste parti la prossima volta offri tu.” “Va bene non mancherò, grazie ancora Claudia.” “Ciao Marco e in gamba.”
Vidi la schedina e il risultato a Torino era cambiato a favore della vecchia signora. Risalii in auto erano le 18,35 in poco più di mezz’ora ero a casa, la cosa che mi mise nuovamente di cattivo umore era la solita, tutto tranquillo, una buona cena un gran bel tavolo, perfino i fiori.
Dopo cena, al caffè, Sonia mi dice: “Sono stata a Forlì da mia sorella, stanno tutti bene ho dovuto aspettarla perché era stata allo stadio, sai oggi Alessandro, suo figlio, ha esordito nella squadra di calcio.”
“Ah! Il Biserna che era in panchina era Alex, sai ero alla partita non ci ho mica pensato, sono anche uscito prima che sbadato.” “Sei stato solo là?”, la vidi un po’ imbarazzata, si riprese subito. “Certo che sono stato solo là, dove dovevo andare?” “Niente ho chiesto, semplice curiosità.”
Non chiesi nulla nemmeno io, lei si aspettava di più, oppure forse voleva aggiungere, non le diedi questa eventuale possibilità, così la discussione scivolò su fatti del giorno.
I giorni seguenti mi sembrò più calma, pacata disponibile, senz’altro si aspettava di più dal sottoscritto, forse da tempo però me ne stavo sulle mie.
Giovedì alle 22,50 arrivai al pub, trovai Claudia sempre molto gentile e affabile, un tesoro di ragazza, questo lo avevo già detto.
“Ciao sono contenta che tu sia qui, ci speravo ma non lo credevo.” “Sul serio! Non lo dici per modo di dire.” “Vedi stai comportandoti come domenica.” “Sì hai ragione, sono venuto proprio sperando di vederti, non lo nego.” “E allora non farlo, impara ad essere te stesso.”
Prendemmo qualcosa poi la invitai a fare quattro passi, “Se non hai freddo” aggiunsi. Fuori mi disse che Gianni, il suo ex, non lo aveva visto né sentito più, poi mi chiese se c’erano novità sulla mia situazione; le raccontai quel poco con una affermazione: “Ho sbagliato domenica a non andare dalla cognata, questo ormai era assodato, però non avrei incontrato te.” “Avresti incontrato un’altra. Sai quello che devi fare ma aspetti tergiversi, eppure sei una persona diversa, ecco qui mi fai tanta rabbia.”
“Diverso in che senso?” “Hai capito, tanti a quest’ora mi avrebbero messo le mani addosso o tentato di baciarmi, tu non l’hai fatto, tu parli, forse vieni dal passato.” “Chi ti dice che non lo farò, oppure ti dispiace.” “Questo è affare tuo se una cosa mi va o mi piace e se la sento, io la faccio il resto viene dopo.”
Rientrammo dopo una bella camminata, erano le 24,50. “Sai una cosa Claudia, posso?” “Sì certo.”
“Saranno 18 anni che non passeggiavo con una ragazza bella come te. Poi qui a Cesenatico, mi fa un effetto strano e molto bello.”
Sull’entrata del pub ci salutammo, lei mi diede un bacio su una guancia e poi uno da mozzare il fiato quando ero già seduto sul sedile, sarei sceso volentieri dall’auto, ma il suo splendido sguardo mi pietrificò, mi resi conto che avevo fatto bene.
Sabato al ritorno dal lavoro, siccome ero a Forlì, andai da Chiara, seppi che mia moglie era stata operata mercoledì 11 gennaio, all’ospedale della città per un nodulo al seno sinistro che era stato diagnosticato in un primo momento maligno, già ai primi di dicembre e che il professore abitava vicino allo stadio. Mi sedetti in silenzio. Un lungo silenzio, da solo presi un brandy, lo tracannai e solo allora spiegai tutto a Chiara. Le raccontai pure di Claudia, del fatto che lei, una ragazza, per certi versi era già molto donna.
Chiara mi guardò prima in maniera astratta, poi: “Subito tu hai pensato che mia sorella…”
“Sì, sì lo so noi uomini siamo dei cretini. Mi vergogno più del tuo cane e anche di Claudia mi vergogno, profondamente, tanto che…”
Poco dopo arrivò Sonia, probabilmente avvertita dalla sorella; lei mi guardò profondamente con quegli occhi neri da trapassare il cuore, la strinsi in un abbraccio avvolgente e la baciai. Rammentai Claudia, i suoi 23 anni, la sua intelligenza e naturalezza. Sonia disse:
“Scusa dovevo dirtelo, ma avevo una paura boia.”
“Sì dovevi dirlo proprio perché così non sarebbe accaduto…” “Taci. Chiara mi ha già detto tutto al telefono, intanto che tu litigavi con il brandy, è proprio bella questa Claudia eh!”
“Sì, sì è una ragazza straordinaria diversa ma…”
“Ho capito tutto. Taci ora ci capiremo di più, il grande dono della vita in famiglia, consiste nel conoscere intimamente persone che potremmo non avere mai conosciuto, se la vita non ce le avesse presentate. Tu hai conosciuto Claudia io il professore. Matteo, il professore dice: largo è il cancello che porta alla vita, ma stretta è la strada da percorrere e più difficile è trovarla.”
“Bella. Beh è un po’ diverso, ma la frase, anche la prima, va proprio a pennello…”
“Sai cosa mi diceva il professore fin dal primo momento, le parole di conforto, somministrate con abilità, sono la più antica terapia che si conosca, ed aveva ragione.”
Continuammo a guardarci negli occhi senza fiatare, poi tutto ad un tratto, Chiara ci portò alla realtà. Cominciò a parlare di Alex, che l’indomani avrebbe giocato titolare a Rovigo e si parlava di fare un provino all’Inter, a Milano. Anzi alla Pinetina.
“Non sarà mica dove fanno il pineta panettone?”
Io e Sonia ci guardammo ridendo, ancora di più negli occhi.
Poi pensai ma perché proprio all’Inter?…
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